Per chi crede che l'autonomia sia anche responsabilità verso la propria terra e la salute di chi la abita. Il rinvio della discussione sull’interpellanza di Chiara Minelli (PCP) al Consiglio Valle è un segnale preoccupante. Davanti a un problema grave e documentato come l’uso del glifosato nei campi valdostani, le istituzioni scelgono il silenzio e l’attesa. Ma il tempo, quando si parla di salute pubblica e ambiente, è un lusso che non possiamo permetterci.
In Valle d’Aosta c’è un veleno silenzioso che si insinua tra i filari, sotto le fronde dei frutteti e dentro la retorica rassicurante dell’agricoltura “di qualità”. Si chiama glifosato. È uno dei diserbanti più utilizzati al mondo, e uno dei più discussi. È classificato come “probabilmente cancerogeno” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e collegato a gravi malattie neurologiche, come il Parkinson, secondo studi più recenti. Ma a quanto pare, per il Governo regionale e in particolare per l’assessore all’Agricoltura Marco Carrel, può aspettare.
Sì, può aspettare. Perché l’interpellanza presentata dalla consigliera Chiara Minelli di Progetto Civico Progressista, che solleva il tema con precisione e urgenza, è stata rinviata. Doveva essere discussa nell’ultima adunanza del Consiglio Valle. Non è successo. È slittata al punto 38 della prossima, ammesso che ci si arrivi. Una procrastinazione che grida vendetta. Perché non stiamo parlando di un dettaglio tecnico, né di una battaglia ideologica. Stiamo parlando di salute pubblica. Stiamo parlando di veleni nei campi. Stiamo parlando della credibilità delle nostre produzioni agricole e dell’immagine stessa della Valle d’Aosta.
Nel frattempo, la Plaine si tinge di giallo. Un giallo innaturale, sbiadito, chimico. Un segno visibile perfino da chi passa in auto. Strisce di terreno morto dove prima c’era vita erbacea. È il marchio del diserbo. E il sospetto, fondato, è che ci sia ancora il glifosato tra le sostanze impiegate.
La domanda che dobbiamo porci è brutale nella sua semplicità: quanto vale la salute dei valdostani?
Il Consiglio regionale si era già espresso su questo nel 2019, approvando all’unanimità una mozione che chiedeva un tavolo interassessorile per trovare alternative al glifosato. Una richiesta che sembrava voler inaugurare una “nuova filosofia” ambientale. Ma da allora? Nulla di pubblico, nulla di concreto, nulla di vincolante. Solo silenzio. E ora, anche un rinvio.
Nel frattempo, alcune amministrazioni comunali – Aosta, Pontboset, Champorcher – hanno già agito. Hanno imposto limiti. Hanno preso posizione. Hanno capito che non si può più fare finta di niente. Perché la tutela dell’ambiente e quella della salute sono un tutt’uno. E perché la Valle d’Aosta non può promuoversi come terra di eccellenze agroalimentari mentre tollera, o peggio ignora, l’uso di sostanze che altrove sono state vietate.
La Toscana l’ha bandito. La Calabria pure. E noi? Noi rinviamo.
L’assessore Marco Carrel ha scelto di aspettare. Di non affrontare di petto un problema che è sotto gli occhi di tutti. Di trattare la questione come se fosse un capriccio ideologico e non un’emergenza sanitaria. Questo atteggiamento è grave. È miope. È inaccettabile.
Perché ogni giorno che passa senza risposte, senza controlli, senza provvedimenti, è un giorno in cui il glifosato può essere ancora sparso nei campi, può infiltrarsi nei raccolti, può finire nei piatti dei valdostani. E no, non è un’esagerazione. È realtà, documentata da immagini, da studi, da analisi.
Chi ci governa ha il dovere di agire. E ha il dovere di farlo ora.
Chi siede in Consiglio Valle ha il dovere di non tacere.
Chi vive in questa regione ha il diritto – e forse ormai il dovere – di indignarsi.
Perché il glifosato non può aspettare. E nemmeno la nostra salute.
Se l’autonomia non serve a proteggerci da ciò che ci avvelena, allora a cosa serve?