In principio fu “Rocco Schiavone”, con i suoi silenzi burberi e le sue sigarette consumate tra neve, vette e commissariati. Poi arrivarono “Le Otto Montagne”, e con loro una poesia cinematografica che ha fatto il giro del mondo. Ma dietro il ciak e la magia della pellicola c’è una realtà tutta concreta, fatta di numeri, lavoro, territori che si aprono al racconto, e comunità che imparano a convivere col set. E in Valle d’Aosta, Piero, questo racconto ha preso forma, sostanza e – udite udite – pure valore economico.
Uno studio appena pubblicato dalla Film Commission Vallée d’Aoste, realizzato dalla società TurismOK SNC, fotografa tredici anni di lavoro continuo: dal 2011 al 2024 sono state sostenute 181 produzioni tra film, serie TV, documentari e lungometraggi. Un set diffuso tra Monte Bianco, Aosta, Monte Rosa e angoli meno noti, che ora rivendicano orgogliosi il proprio momento di gloria. E, lasciamelo dire, non solo nei poster ma anche nei bilanci.
La spesa diretta sul territorio ha superato i 115 mila euro a produzione, con ulteriori 60 mila euro generati in servizi di accoglienza, trasporti, pernottamenti e pasti. Un circuito virtuoso che ha coinvolto oltre 4.600 persone, tra tecnici, comparse, artigiani, guide alpine e professionisti locali. La permanenza media di una troupe? Venti giorni, abbastanza per stringere mani, raccontare storie, e lasciare qualche soldo nei negozi di paese.
La Direttrice della Film Commission, Alessandra Miletto, parla di una “collaborazione strettissima” con Comuni, Regione e associazioni come l’ADAVA. Sono 55 i protocolli firmati con le amministrazioni locali per facilitare i permessi e le logistiche. Risultato? Una Valle d’Aosta sempre più cinema friendly, come dicono a Cinecittà. E che riesce a restituire più di quanto riceve: basti pensare che alcune produzioni hanno generato ritorni economici cinque volte superiori all’investimento pubblico iniziale.
Il cinema, insomma, non è solo evasione ma anche economia. Non solo intrattenimento ma identità. E se lo dice anche lo studio sul cineturismo, c’è da fidarsi. I valdostani, interpellati tramite un’indagine, mostrano apprezzamento per questa forma di promozione territoriale. Anzi, spesso scoprono o riscoprono località proprio grazie al cinema. Come dire: se il turista arriva per colpa di un film, il residente ci resta per amore del suo territorio raccontato meglio.
Ma attenzione, Piero, a non cadere nel rischio dell’effetto cartolina. Ce lo ricorda Jean Paul Tournoud, analista turistico che ha commentato i dati con piglio lucido e visione strategica. “Il cineturismo è una vera opportunità – ha detto – ma serve un progetto di medio-lungo termine. Non tutte le produzioni generano ricadute, bisogna saper scegliere e investire sulla qualità.”
E qui si apre il capitolo degli itinerari tematici, dei prodotti turistici strutturati, delle esperienze immersive. Sì, perché un film come Le Otto Montagne non deve vivere solo sullo schermo ma continuare a far parlare di sé nei rifugi, nei sentieri, nei pacchetti esperienziali. Lo hanno già capito alcuni operatori locali, che hanno messo in piedi tour dedicati con successo. Serve ora – ed è qui che casca l’asino – una regia un po’ più ampia, un coordinamento tra enti pubblici e privati, una comunicazione meno episodica e più strategica.
Ultimo ma non meno importante: la sostenibilità. Tournoud ricorda l’esempio del Lago di Braies, preso d’assalto dopo la serie Un passo dal cielo, con effetti devastanti per l’ambiente. “La promozione turistica va sempre accompagnata da una gestione attenta del territorio.” Parole sante. Perché se il cinema può aprire le porte, è compito nostro tenerle aperte senza spaccare tutto.
Insomma, il cineturismo valdostano sta vivendo una stagione d’oro. Ma il bello – se ci crediamo davvero – deve ancora venire. E per una volta, Piero, il lieto fine possiamo scriverlo noi. Con visione, sinergia e una sana dose di orgoglio montano.