ATTUALITÀ - 08 maggio 2025, 09:04

Tra ferrate e boschi, il Parkinson lo si sfida passo dopo passo

Lodovico e Roberta non sono alpinisti in cerca di gloria, ma testimoni di una terapia che si fa cammino. Tra corde, moschettoni e memoria, il corpo ritrova se stesso

Assistenti e assistiti del Percorso Avventura

Assistenti e assistiti del Percorso Avventura

LA MANDRIA, SABATO 26 APRILE – IL CORPO CHE TREMA E LA MONTAGNA CHE CURA

Il mattino è silenzioso nel Parco Avventura di Cascina Oslera, dentro l’area protetta de La Mandria di Venaria Reale. È sabato, ma sembra una domenica di silenzi: gli alberi non parlano, scrutano. Gli occhi li senti addosso. E mentre le prime imbracature tintinnano tra le mani, Lodovico Marchisio si avvicina al primo cavo sospeso, con la calma di chi ha già conosciuto il dolore e ora vuole imparare a danzare con lui.

Il Parkinson non è solo una malattia. È una compagnia invadente, una presenza nel corpo che spinge, frena, sbilancia. Ma oggi non comanda lei. Oggi Lodovico è lì, insieme a Roberta – sua moglie, sua complice, anche lei con una storia che sa di abisso, di risalita. La depressione, quella vera, quella che azzera tutto e ti fa vivere in un giorno solo dieci inverni.

Allenamento assistito al Parco Avventura

Insieme, stanno dimostrando che si può rispondere. Con il moschettone agganciato, la corda ben salda. Si può rispondere camminando sopra un cavo, in equilibrio tra paura e coraggio. Perché quella che chiamano montagna-terapia è un’idea, sì, ma prima ancora è carne e nervi, sudore e cuore che torna a battere forte, non per l’ansia, ma per la vita che si riprende la scena.

Non sono soli. Con loro ci sono Adriana Bergagna e Federico Bambara, parte del gruppo operativo. Ci sono Rita Carello e Cesare Scaringella, che dell’accoglienza sicura hanno fatto un mestiere. È un giorno di prova, sì, ma anche di rito. Un piccolo esorcismo collettivo contro la condanna silenziosa delle malattie neurovegetative.

Quel libro che Lodovico e Roberta hanno scritto, Guarigioni d’Amore, è un messaggio lasciato in bottiglia per chi ancora non crede che si possa convivere e anche vincere. Sci alpino, arrampicata, vie ferrate: non è follia, è resistenza quotidiana. È l’idea che il corpo, anche se rotto, può ancora scalare, sorridere, abbracciare.

DOMENICA 4 MAGGIO – IL MONCUNI E LA MEMORIA DEL CORPO

Una settimana dopo, altre gambe si mettono in moto. Questa volta sui sentieri del “Moncuni”, tra Avigliana, Trana e Reano. È un anello di sedici chilometri, e mentre cammini senti i polmoni fare pace con l’aria. Il CAI c’è, come sempre. E Arnaldo Reviglio, guida e anima di questa giornata, non ha bisogno di megafono. Ti guarda, ti parla sottovoce, e ti racconta che questi sentieri sono stati percorsi anche da altri piedi, in altri tempi: quelli dei partigiani, quelli della resistenza al nazifascismo.

Escursione al Moncuni

Più di cinquanta persone seguono questo passo collettivo. Alcuni sorridono. Altri piangono. Nessuno corre. Perché qui non si gareggia. Qui si ricorda, si cammina insieme, si guarisce a piccoli passi.

La vera notizia non è solo che si possa combattere il Parkinson in montagna. È che la montagna restituisce dignità. Ti obbliga a guardarti dentro, a fidarti del tuo corpo anche quando non ci credi più. E ti insegna che si può cadere, sì. Ma si può anche risalire.

Perché certe battaglie non si vincono urlando. Si vincono passo dopo passo. In silenzio. Tra i rami di un bosco che ascolta.

red/co.ma.

SU