La nota del Partito Democratico della Valle d’Aosta, uscita sotto forma di appello all’unità del fronte progressista e autonomista, ha il merito – raro di questi tempi – di mettere nero su bianco una proposta chiara: "Costruire un fronte ampio, una coalizione progressista e autonomista che tenga insieme esperienze diverse". Un appello alla responsabilità, alla visione, alla sintesi. Ma anche un segnale d’allarme: settembre non sarà una passeggiata tra i pascoli.
Sì, perché all’orizzonte si profila una destra “organizzata, coesa e ambiziosa”, parole del PD, con Fratelli d’Italia in prima fila e un nugolo di sigle civiche al seguito, che non nascondono l’obiettivo: conquistare la Regione. Né più né meno. E poco importa se quella destra – sempre parole loro – promuove “modelli che smantellano lo stato sociale, privatizzano i servizi pubblici e negano le specificità territoriali”. Il punto è che si muove, mentre a sinistra si discute ancora se la coperta sia abbastanza grande da coprire tutti.
Il PD, almeno in questa fase, mette sul tavolo un progetto. A tratti retorico, certo. Ma concreto nei passaggi chiave: “Un’autonomia che non può essere solo memoria, ma visione, innovazione, responsabilità.” E poi un elenco di priorità che chiunque conosca le pieghe di questa Valle non può ignorare: enti locali da riformare, il casinò da salvare (o finalmente affrontare), le concessioni idroelettriche da difendere, la pubblica amministrazione da sbloccare e lo Statuto Speciale da riscrivere prima che lo faccia qualcun altro a Roma.
Il messaggio è chiaro: o ci si mette insieme, o si perde tutto. Ma davvero, tutto.
A chi è rivolto questo appello? Anzitutto all’Union Valdôtaine, “con cui condividiamo un lungo percorso fatto di visione concreta e radicamento storico nella nostra Petite Patrie”. Poi ai cespugli della sinistra, al centro socialista, al nuovo centro autonomista. È il solito mosaico valdostano, che sa essere tanto affascinante quanto ingestibile. Dove ognuno rivendica il proprio passato e si guarda allo specchio convinto di essere indispensabile. E intanto la destra marcia.
Il PD lancia una stilettata anche sul piano comunale: “Chi oggi rivendica discontinuità ha scelto deliberatamente di collocarsi altrove”. Il riferimento alla Renaissance è diretto, quasi brutale: accusata di aver indossato il civismo per mascherare un’anima conservatrice e poi finita sotto l’ombrello meloniano. Anche qui si invoca chiarezza, coerenza, responsabilità.
Il nodo, però, resta uno solo: chi comanda nel fronte progressista? Il PD chiede una sintesi, ma non dice a quale prezzo. E l’Union, storicamente restia a farsi dettare l’agenda da Rue de Solférino (o ciò che ne resta), non accetterà mai di fare da stampella. L’impressione è che, se questo fronte si farà, sarà per necessità aritmetica, non per reale sintonia.
La nota del PD va letta con attenzione. Dice qualcosa che in molti pensano ma pochi hanno il coraggio di dire ad alta voce: lo scontro che si prepara “non è solo numerico o tecnico, ma profondamente culturale e politico”. La destra identitaria, nazionalista e accentratrice non è compatibile con la storia valdostana. Questo è vero. Ma per batterla non basta il richiamo ai valori: serve un progetto serio, una leadership riconosciuta e soprattutto la capacità di mettere da parte personalismi e nostalgie.
Il rischio altrimenti è che la Valle venga consegnata, per stanchezza o per disillusione, proprio a quel blocco “conservatore, populista e identitario” che oggi viene evocato come uno spauracchio. E che invece, giorno dopo giorno, si organizza con metodo, pazienza e un certo fiuto per il potere.