In un contesto in cui il benessere dei lavoratori dovrebbe essere la priorità assoluta, ci troviamo a riflettere sull'ultimo "capolavoro" della Fondazione per la Formazione Professionale Turistica. L'illuminante avviso di reclutamento per un “supervisore degli educatori” ha suscitato non poco stupore e, permetteteci, sdegno. La richiesta di un candidato capace di "lavorare in un ambiente caratterizzato da un certo livello di stress" sembra quasi un invito a ballare su un campo minato, piuttosto che una seria offerta di lavoro.
Non si può fare a meno di notare l'ironia di questa situazione: da un lato, abbiamo un ente che si propone di formare professionisti, dall'altro un avviso che ignora in modo plateale le normative esistenti, come il Lgs. 81/2008. È come se la Fondazione avesse deciso di riscrivere il concetto di "stress" in un contesto lavorativo, riducendolo a un accessorio, un optional da aggiungere al profilo professionale. Peccato che lo stress, oltre a essere un tema delicato, ha anche delle conseguenze serie e tangibili sulla salute e sul benessere dei lavoratori.
Le organizzazioni scolastiche regionali, giustamente indignate, hanno fatto notare che il datore di lavoro ha il dovere di valutare tutti i rischi, compresi quelli legati allo stress da lavoro correlato. Ma chi ha bisogno di valutazioni e analisi quando si può semplicemente aggiungere un "certo livello di stress" a un annuncio di lavoro? È un po’ come affermare che per lavorare in un ristorante è necessario essere pronti a “gestire un certo livello di cucina infuocata” senza tener conto delle norme di sicurezza alimentare.
In un’epoca in cui la salute mentale e il benessere sono al centro del dibattito pubblico, la Fondazione sembra invece volerci riportare indietro nel tempo, a un’epoca in cui il sacrificio personale era la norma e non l’eccezione. È un messaggio non solo contraddittorio, ma anche pericoloso, che potrebbe far pensare che il valore di un lavoratore sia determinato dalla sua capacità di resistere a situazioni stressanti piuttosto che dalla qualità del lavoro svolto.
Siamo sinceri: se l’obiettivo della Fondazione è attrarre talenti, forse sarebbe il caso di rivedere il proprio approccio. Anziché offrire una descrizione che ricorda un campo di battaglia, sarebbe più opportuno enfatizzare un ambiente di lavoro sano e collaborativo. In fondo, se vogliamo davvero formare educatori capaci, dobbiamo cominciare con l’assicurarci che siano supportati, non sottoposti a pressioni insostenibili.
In conclusione, è giunto il momento di alzare la voce e chiedere alla Fondazione di rivedere non solo l’annuncio di reclutamento, ma anche il proprio approccio alla gestione del personale. I lavoratori meritano un ambiente di lavoro che promuova il benessere e non che lo riduca a un mero requisito di selezione. È ora di smettere di trattare lo stress come un dato di fatto e iniziare a considerarlo come ciò che realmente è: un rischio da gestire, non un badge d'onore.