La sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione”. Lo ha detto il Papa, stamane, ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica.

“Tutti – ha ammesso Francesco - vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione. Sappiamo che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione”.

Il Papa invita a guardare a Gesù che “ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto”.

Il Pontefice suggerisce due parole chiave: compassione e inclusione. “La compassione, indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra. Questa sua compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i sofferenti. Compassione che porta alla vicinanza. Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare”.

“Cristo – ha aggiunto Papa Francesco - ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore. Non ha dato risposte facili ai nostri perché, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande perché”.