Block Notes - 02 maggio 2022, 09:34

FONDATI SUL LAVORO

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

FONDATI SUL LAVORO

La nostra costituzione si radica, come recita il primo articolo, sul lavoro. Fu Amintore Fanfani a proporre la dizione “Repubblica democratica fondata sul lavoro” per edulcorare la proposta di Togliatti: “Repubblica dei lavoratori”, che suonava in modo sinistramente bolscevico.

In effetti accontentò tutti, con qualche mugugno dei liberali e ancora alle nostre orecchie suona come un indicatore di civiltà non ideologico: una partecipazione democratica è fondata sulla cultura della cittadinanza, che abbraccia una dimensione più ampia di quella dell’essere lavoratori, ma una comunità non può che basare la sua convivenza sull’operosità, che non significa produttività a tutti i costi né sudditanza alle leggi del capitale.

Nessuna parola peraltro ha accezioni immodificabili nel tempo, si piega alle volontà delle coscienze che, di generazione in generazione, abitano la Terra: si lascia interpretare docilmente da chi la studia, adotta, ama e poi si diffonde di bocca in bocca in un pericoloso carosello di gargarismi, come direbbe Gadda. Ogni significato è espressione di una precisa visione della realtà, verbalizzata in modo differente da ogni individuo, ma condivisa sempre da un collettivo.

In questi giorni i soliti fiumi di commenti ci ricorderanno quanto il lavoro scarseggi perché corroso dai flagelli e dalle dannazioni recenti; daranno enfasi alle morti bianche e al crudele connubio tra fatica e annientamento: una beffa antica come il mondo. Poi si passerà alle discriminazioni di genere, alle disuguaglianze e agli sfruttamenti consumati oggi come un tempo, nonostante il progresso tecnologico che ha trasformato gli strilloni in rider con APP e POS e spostato gli schiavi dalle catene di montaggio ai call center.

Io invece mi interrogo, in compagnia dei nostri quattro lettori, sul senso del lavorare oggi.

L’uomo si umanizza attraverso la sua operosità, la capacità di impadronirsi di strumenti – dalla zappa al supercomputer (o HPC, High Performance Computing) più evoluto – per trasformare la realtà e modificare se stesso. L’evoluzione dell’homo sapiens fa pensare a una progressiva acquisizione di potere, dunque a un incremento del proprio spettro di azione sia per intensità che per durata e varietà d’effetti determinati.

Se inizialmente il lavoro era ancorato a terra e i gesti compiuti strettamente connessi con i prodotti finiti, se permetteva di procacciarsi i beni essenziali per la sopravvivenza (la coltivazione, la caccia e la pesca, la costruzione delle proprie dimore), con l’introduzione del denaro – un altro strumento, artificiale, ad alto contenuto simbolico, insomma una delle fantasie che muovono il mondo – è nata per l’essere umano la possibilità di accrescere la gamma dei beni di cui godere e la quantità di desideri da sognare.

Contestualmente, sono cresciute le deformità: la riduzione in schiavitù, l’incremento dei divari tra ricchi e poveri, l’allontanamento del lavoro dai suoi effetti sulla vita degli altri e quindi la riduzione del suo valore agli occhi dell’individuo: in sostanza l’alienazione prodotta dal dover ripetere gesti identici per lungo tempo, all’interno di una lunga filiera produttiva di cui si rappresenta una parte infinitesimale e s’ignora la finalità del tutto.

È necessario prendere coscienza di come attraverso il lavoro non solo si costruiscono molte delle relazioni con il prossimo che la vita ci offre, s’incontrano affetti, ma soprattutto si concorre insieme, in un gioco intricatissimo di incastri, a dare forma al pianeta, aggiungendo alla natura le nostre impronte microscopiche eppure utili a dare corpo a un disegno misterioso.

Anche se in molte circostanze ci pare di vivere il mito di Sisifo, ripetendo da capo le stesse operazioni senza apprezzarne i risultati, in realtà le  nostre azioni concorrono a facilitare l’esistenza di tante persone, corroborano energie e accelerano flussi di pensieri e oggetti, portano avanti la missione della vita nella sua totalità. Il lavoro di domani, in tutto il globo, dovrà sanare gli abusi e le mancanze, dovrà sfruttare tutti i nuovi strumentari capaci di alleviare la fatica sterile – quella che non è corroborata dalla spinta verso la scoperta e gratificata dal piacere della conquista – ma avrà altresì da riconquistare la bellezza del fare artigiano, che permette a ciascuno di apprezzare un rapporto con la materia fatto di indagine, di manipolazione, di trasformazione e costruzione di una forma compiuta, originale e marcata dalla propria individualità, fatta di mani, voci, stili ed espressività uniche e dunque preziosissime.

Non dobbiamo solo garantire a tutti di poter lavorare in conclusione, ma è necessario offrire buone ragioni per farlo, indipendentemente dal grado di complessità che l’attività prevede.

Tutti i lavori saranno ugualmente nobili e ciascuno si sentirà investito di un compito indispensabile, riconoscibile e utile; saranno banditi tutti i prodotti di distruzione, per dare solo spazio al lavoro creativo così che si aggiungano solo beni al bene del mondo; sarà un lavoro ispirato da uno spirito comunitario: operare con cura per avere cura degli altri. Solo così il profitto risulterà così alto, per l’intera società, da risultare incalcolabile.

Firma della Costituzione

Gianni Nuti

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