- 27 marzo 2022, 11:42

QUELLE DONNE DELL’EST

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

QUELLE DONNE DELL’EST

Io le ho viste queste donne alzarsi una dopo l’altra, in ordine, con un fare solenne pronunciare il loro nome, la voce ora melliflua, come una bandiera sventolata da una brezza lieve, ora esitante e supplice, come una Maddalena sotto il Cristo appeso.

Le ho viste vestite di azzurro e giallo, portare un drappo con i colori dell’Ucraina cucito a mano, distenderlo a più mani davanti a noi, come se fosse l’abito da sposa più bello del mondo.

Sono granitiche queste donne ucraine che da oltre vent’anni sollevano come Baloo fa volare Mogly i nostri anziani o le persone con disabilità dal letto alla carrozzina o al bagno, li accudiscono con il vigore dei contadini e il furore delle madri di tanti figli, pronte a fare da scudo per tutti, interamente vocate all’aiuto.

Abbiamo dato il benvenuto nella loro seconda casa a queste cittadine italiane di origine ucraina: il municipio. Nel salone più bello ridondante di stucchi e specchi sono entrate discrete, senza lasciarsi intimidire; hanno portato rispetto restando guardinghe, in attesa di capire se si sarebbero potute fidare di noi…

Quando, all’appello della signora più disperata e piangente che raccomandava il risveglio dell’Europa, insistendo col dire che la guerra dalle loro terre si sarebbe presto estesa fino a noi, ho risposto che l’Ucraina era in Europa come l’Italia e la guerra era già da noi, che il destino era comune e il nostro impegno totale, i visi si sono aperti e le parole hanno iniziato a scorrere libere.

Li ho sentiti i racconti di figlie ventenni che hanno scelto di restare sotto i bombardamenti per non lasciare la nonna inferma, dei figli diventati esuli improvvisamente strappati a professioni affermate, vite affettive salde e feconde.

Ho ascoltato la donna bruna dagli occhi profondi e severi, dalle parole precise esprimere la sua costernazione nel vedere la sua famiglia, metà composta da ucraini, metà da russi, lacerata per ragioni incomprensibili, per fatti altrui… Sembrava di leggere un passo di Tolstoj quando dice: se tutti andassero in guerra solo in base alle proprie convinzioni, le guerre non ci sarebbero più.

E invece l’ira funesta che nasce dall’idea di aver subito un torto o un’offesa ingiustificata, questo sentimento difficile da contenere, ma che Aristotele considera indispensabile perché rappresenta il nervo dell’anima, quando trascende invade i destini di interi popoli e li piega con una forza potente e diffusa.

Mi ricorda l’ira del Re Lear di Shakespeare (nel dipinto) quando, accecato dalla sofferenza per il tradimento delle figlie, fa risuonare intorno il suo furore e così ingiunge al vento di trascinar via la terra e il mare o di avventare le onde ricciute contro la terraferma perché ogni cosa si trasformi o muoia, che si strappa i capelli scomposti e razzuffati con cieca rabbia dalle raffiche impetuose pretendendo lui, piccolo uomo, di prevalere sull’eterno conflitto tra venti e piogge… e corre via a testa nuda, invocando la fine d’ogni cosa.

Quando l’ira si scatena “gli affetti si raffreddano, l’amicizia cessa i fratelli si inimicano, sommosse nelle città, discordia nelle nazioni, tradimento nelle corti e s’infrange il vincolo tra padre e figlio. Macchinazioni, vuote apparenze, tradimenti e ogni sorta di disordini travagliano il nostro cammino verso la tomba…”

La suprema stupidità del mondo impera e lascia queste donne in preda all’angoscia, ma insieme pronte a sfidare le intemperie, ad acquietare i venti, a placare le acque ma, soprattutto, a soccorrere i deboli, ad accogliere donne e bambini sradicati e costretti alla fuga: La vita attuale è potente come un grande romanzo epico, come una tragedia antica ma è fatta di carne e sangue, mobilita i corpi prima che i pensieri alti.

L’ira come dice Leibniz, è una passione triste, destinata a frantumare, separare, lasciare soli, irrimediabilmente e definitivamente soli coloro che la lasciano tracimare come lava di vulcano.

Il sindaco di Aosta con un gruppo di ucraine

Eppure quando la tempesta sarà placata, troverà più forti le persone che, come queste donne dell’Est, avranno alimentato un altro tipo di passione, gioiosa e viva: la passione per l’incontro pacifico, per lo scambio di storie, per l’amplesso, per i gesti giusti offerti senza perder tempo in faccende vane che ricostruiscono lentamente, come artigiani orafi, quella che gli stoici chiamavano la tranquillità dell’anima, oggi perduta.

Gianni Nuti

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