- 05 marzo 2022, 15:11

PACE E GUERRA

Block Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

PACE E GUERRA

In questi giorni, alcune città dell’Europa orientale sono state bombardate e distrutte, come non avveniva da oltre settant’anni.

La presenza su quei territori di centrali nucleari e la minaccia d’usare testate atomiche allunga l’ombra della fine del Mondo su di noi e stringe gli orizzonti dei giorni futuri ai nostri figli.

Penso ai sindaci ucraini assediati e, in alcuni casi, annientati dall’invasore: m’immagino la loro disperata e scomposta difesa della cittadinanza inerme e vulnerabile, li vedo impegnati a proteggere e a garantire le minime condizioni di sussistenza dimenticando le carte e le liturgie che li avevano imprigionati fino a pochi giorni prima, costringendoli a un’esistenza parallela lontana dalla carne e dal sangue. Li vedo, in primis, giocare il tutto per tutto, disponibili a morire per un’idea di vita, che sembra coincidere con la vita stessa.

Anelano alla pace, inneggiano alla guerra.

Guardo negli occhi alcuni giovani corpulenti ucraini, impegnati da molti anni a far del bene in Italia, pronti a partire per unirsi ai compatrioti: leggo la sete di guerra, un desiderio incontenibile di giustizia, l’energia di chi è pronto ad annientare, far sparire, inghiottire il fratello nemico. Non c’è un solo uomo in noi, ma molti in un corpo solo: ci troviamo, anche noi pacifisti, a desiderare la morte violenta di un despota e dei suoi fedelissimi, o a sperare in un loro tradimento; le voci, i cicalecci che animano i nostri giorni traducono in eccessi verbali una violenta energia repressa, la rabbia di chi lotta contro l’assurdo. La mitezza, la ragione che la natura ci ha permesso di sviluppare per non mangiarci a vicenda fino all’estinzione potrebbe non avere la meglio sull’istinto a prevalere l’uno sull’altro, nel nome di un confine scritto sulla carta, di una identità di popolo piegata alla prepotenza del vicino più forte, di un immaginario, diverso dio.

Anche il denaro o il potere sono pretesti, mezzucci: la destinazione biologica che la nostra specie tiene impressa nei nostri dna, identici per il 99,9%, la stessa che nega l’esistenza della razza è quella della Fine, prossima o remota che sia, pronta a impastare la materia di cui siamo casualmente fatti per proiettarla su una nebulosa echeggiata da residue onde radio, immersi nell’armonia delle sfere celesti.

Se devo pensare a un sindaco del passato, in questi giorni mi viene più volte in mente Giorgio la Pira, il sindaco dell’unità tra i popoli, colui che mise allo stesso tavolo i colleghi delle capitali di tutto il mondo, al di qua e al di là della cortina di ferro, per seminare cultura di pace.

Sono convinto, come quest’uomo santo, che per servire la nostra gente si debba leggere la storia come espressione di un dialogo tra realtà e trascendenza, tra volontà e caso, tra ordine e caos.

Sono convinto anch’io che solo il sentimento della risurrezione sia la forza più potente per combattere contro il sonno della ragione, contro la sconfitta degli oppressi: così La Pira evitò la chiusura di una fabbrica sull’orlo del fallimento, sequestrò ville e case signorili da assegnare agli sfrattati, fece di Firenze la capitale del dialogo tra i popoli, tutte missioni impossibili.

Dopo la sua visita in Unione Sovietica, si convinse che i comunisti russi non avessero in mano le chiavi per comprendere la modernità, non fossero in dialogo con l’età contemporanea: oggi come non mai, sembra che il dittatore della grande terra di Tolstoj non abbia compreso come l’unico futuro possibile si giochi nella ricostruzione di una risonanza perduta con la Natura, con un definitivo riscatto delle popolazioni povere della Terra, con una convivenza fluida, fatta di continue migrazioni, meticciamenti, intrecci tra persone e popoli e non attraverso la conquista effimera di terre e la sottomissione dei loro abitanti. Forse sta inseguendo la sua stessa morte e il delirio d’onnipotenza da cui è posseduto lo sprona a portare tutto il genere umano con sé: un mito antichissimo...

Di fronte a questo bivio, a noi minimi non resta che contribuire, umilmente e senza lasciarsi sopraffare dalla paura, ad allargare la tenda per tutti i figli di Abramo, trovando le ragioni di un unico destino incrociato tra Oriente e Occidente, nord e sud del mondo, così da evaporare lo spirito delle crociate, e alimentare, per contro, quello dello scambio. Impegniamoci a credere nel mistero che unisce comunità di persone e città per condividere e non per opporsi a qualcuno, che non si compatta per annullare gli interstizi, ma si dilata in una rete, pronta ad accogliere persone differenti che arricchiscono e modificano la geografia umana intorno, aumentano le nostre esperienze di vita, c’interrogano con insistenza, davanti agli enigmi di cui l’esistenza è innervata.

E se anche prevalesse l’uomo della Fine, effondere uno spirito amoroso sarebbe per noi un’anticipazione della dispersione che le nostre cellule subiranno una volta rientrate nella gelatina complessa dell’Universo senza il peso dell’Io, senza la prigione angusta delle nostre coscienze, conquistando un infinito senso di pace.

Rappresenterà per noi una provvisoria, delicata consolazione.

Gianni Nuti

SU