Aosta Capitale - 31 ottobre 2021, 12:48

ALDO MORO. CHE TUTTO SIA CALMO

Blok Notes è una rubrica settimanale promossa dall’associazione Comunque Valdostani con l’obiettivo di avvicinare i Cittadini al Palazzo e aprire il Palazzo ai Cittadini. L’Associazione Comunque Valdostani ringrazia il Sindaco di Aosta, Gianni Nuti, che con entusiasmo ha aderito alla proposta

ALDO MORO. CHE TUTTO SIA CALMO

Aldo Moro è una di quelle figure che la storia ha schiacciato sulla sua tragica fine, dimenticando ciò che ha rappresentato per trent’anni di vita politica e sociale del nostro Paese, negando quanto sia stata potente la sua mite grandezza.

Il Professore aveva una statura morale granitica ma un portamento curvoso, quasi mendicasse il rispetto per l’Uomo, ogni uomo, dignitosamente: camminando, guardava verso il basso, quando era seduto, piegava spesso il capo di lato – non solo nei giorni della prigionia – così come il tronco si piegava come una canna battuta dal vento. Gli occhi, lunghi e sottili, sprizzavano una vivacità d’intelletto, fatta di energie conciliative, pacificatrici e slanci verso un futuro che pochi riuscivano a intravedere.

E poi quel sorriso storto, fiero e accogliente negli anni d’oro, malinconico e rassegnato nella stagione del terrore stolto e ignorante.

Lui, animo salentino radicato in profondità nelle terre più lontane e antiche della Magna Grecia, eccellente negli studi parlava con un linguaggio inciso con lo scalpello del giurista e levigato con la mascherata poesia del filosofo: volava sempre più in alto degli altri, oltre i conflitti per cercare di far convergere anche ciò che in geometria è impossibile, ovvero due percorsi paralleli… Perché la politica è fatta di realtà concrete, ma si nutre di utopie. 

La voce di Aldo Moro era ferma e chiara, appena ammantata di una grana d’argento, talvolta un po’ acidula, come di chi porta, tra i geni, le memorie di grida e richiami in masseria. Si esprimeva per frasi spezzate: tra il verbo e il complemento, la principale e la subordinata interponeva piccole pause, le esortazioni restavano sospese sulla punta del suono più acuto prima di svelare il contenuto-chiave.

Era consueto per questo statista adottare una interiezione, fin dalla giovinezza, sbeffeggiata, allora, da Alighiero Noschese: “vero”… chi sa, evocava un sentimento – appunto quello della verità – che si materializza sempre troppo tardi, stentando a uscir fuori o chiedeva consenso per essere sicuro di parlare nel nome di una volontà di popolo, tanto ecumenica da diventare trascendente.

I gesti con i quali accompagnava i suoi discorsi erano rari e asciutti nei primi anni della sua carriera politica, e si rivolgevano verso l’alto dal pulpito, come i consoli romani, con fierezza missionaria. Erano, per contro, generosi e orizzontali in quelli della maturità. Allora le braccia si allargavano simmetricamente dal corpo verso i lati estremi, sempre con levità, senza spezzare l’aria con imperio, neppure nei momenti d’enfasi passionale: benevola, mai oppositiva. Le mani, lunghe e affusolate, scheletriche carezzavano il nulla intorno, alla ricerca delle parole migliori, restando compatte ma prodighe, offrendo tutto il possibile di sé al mondo. Talvolta, ne posava una sul petto in segno di promessa: assicurava lealtà, dedizione, cuore.

Si piegava come un metro di legno quest’uomo quando pregava, caricando le forze per servire il paese, rivelando anzitempo – a se stesso e a lui solo – il peso gravoso di un destino precoce di morte.

Fino all’ultimo istante si è affidato alle “vie del Signore” combattendo con l’unica arma che usava da sempre: le parole. Di persuasione, le invocazioni, le suppliche…

Ma i sordi, suoi amici, non hanno sentito.

Così, nella lettera in cui si congeda dalla moglie e dai figli e dai cari raccomanda a chi resta che “Tutto sia calmo”.

In quel giorno di maggio ero a scuola, quando la voce del preside gracchiò, in ogni aula, della morte di un uomo di Pace.

Il silenzio fu calmo, il dolore fu un coro, che echeggia in me ancora oggi, da allora.

Spero sarà interessante per i nostri, cari lettori.

Gianni Nuti

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