Entro il 20 ottobre prossimo i giudici del tribunale del Riesame di Catanzaro decideranno se l'avvocatessa aostana Maria Rita Bagalà, agli arresti domiciliari dal 3 maggio scorso, dovrà essere detenuta in carcere.
La Direzione distrettuale antimafia-Dda di Catanzaro ha infatti impugnato l'ordinanza di arresto domiciliare ed è ricorsa in appello al Riesame per chiedere la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti della professionista legale nonchè di Domenico Aragona, Bruno Malvaggio, Pasquale Motta ed Enzo Pandolfo, tutti indagati nell’ambito dell’inchiesta “Alibante” relativa a una serie di presunti reati compiuti con l’avallo della cosca di 'ndrangheta Bagalà, di Nocera Terinese. Nel procedimento sono indagate in stato di libertà altre 20 persone; sono invece 17 gli arrestati (sette in carcere e dieci ai domiciliari), mentre altre due persone hanno misure restrittive minori.
Tutti gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione, estorsione, consumata e tentata, intestazione fittizia di beni, rivelazione di segreti d’ufficio e turbativa d’asta.
Le accuse 'ricontestate' dalla Dda
In particolare la Dda chiede l’arresto di Domenico Aragona, Bruno Malvaggio ed Enzo Pandolfo in relazione all’accusa di associazione mafiosa, per avere fatto parte della cosca Bagalà "operante lungo la fascia costiera tirrenica del catanzarese - si legge nel ricorso in Appello - nei comuni di Falerna e Nocera Terinese e strettamente legata da rapporti ndranghetistici storicamente radicati e da co-interessenze economiche alla cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte di Lamezia Terme".
Secondo l’accusa Domenico Aragona ricopriva il ruolo di "uomo di fiducia del boss Carmelo Bagalà e di suo autista abituale, tanto da essere inizialmente individuato dal boss come candidato alle elezioni amministrative. Bruno Malvaggio ed Enzo Pandolfo sono considerati dalla Dda i referenti politici di Carmelo Bagalà con cui avevano condiviso e programmato la predisposizione della lista 'Unità Popolare Nocerese' per l’infiltrazione nell’amministrazione comunale.
Maria Rita Bagalà, figlia del boss, viene considerata "mente legale della cosca, partecipava alla medesima, garantendo, sotto la regia del padre, l’amministrazione di diversi affari illeciti della compagine e occupandosi, nello specifico, della cura degli interessi economici e finanziari del sodalizio".
Infine il giornalista calabrese Pasquale Motta è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa poiché, scrive la Dda, "di fatto svolgeva in maniera preponderante la funzione di referente politico del boss Carmelo Bagalà con cui aveva condiviso e programmato la predisposizione della lista 'Unita’ Popolare Nocerese'".
Maria Rita Bagalà considerata 'vicecapo' della cosca
Il procuratore della Dda Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Capomolla, i sostituti Chiara Bonfadini e Romano Gallo ribadiscono nella richiesta "la sussistenza di esigenze cautelari di massimo rigore". E in questo sono opposte le posizioni tra la Dda che chiede il carcere e il gip che dispose i domiciliari per quanto riguarda la figura e il ruolo dell'avvocatessa Bagalà: la Dda contesta l’associazione mafiosa, il gip riqualifica il concorso esterno. Secondo l’antimafia di Catanzaro "le conclusioni cui è pervenuto il gip non colgono nel segno e non possono condividersi, per il sol fatto che viene 'vestito' della qualifica di concorrente esterno il ruolo di un soggetto, Maria Rita Bagalà, in realtà ad ogni evidenza sintomatico di una stabile e consapevole messa a disposizione nei confronti del sodalizio capeggiato dal padre, da cui non può che discendere l’affermazione della piena intraneità della stessa indagata all’associazione in parola". Una specie di 'vicecapo' in tutto e per tutto 'vicaria' del boss, secondo le parole di un inquirente calabrese.
Nell’appello rivolto al Tribunale del Riesame è infatti sottolineato come sia "sufficiente evidenziare come Maria Rita Bagalà compaia in prima persona-e non come mera delegata del padre Carmelo-in tutti i settori chiave del programma criminale della cosca. È lei che, forte delle sue competenze professionali in ambito economico e giuridico, fissa gli stessi obiettivi dell’organizzazione e pianifica le modalità di realizzazione degli stessi, figurando quale vera e propria mente operativa del sodalizio. L’indagata, infatti, mette al servizio della cosca la propria preparazione tecnica, circostanza che consentirà all’associazione, nel corso degli anni, di fare quel salto di qualità in termini di trasformazione evolutiva da ‘ndrangheta tradizionale a ‘ndrangheta imprenditoriale, anche attraverso il continuo reinvestimento occulto dei profitti illeciti a suo tempo accumulati dal padre Carmelo".