CRONACA - 24 marzo 2021, 14:00

Procura di Milano ricorre in Cassazione contro assoluzione pm Longarini

Il Palazzo di Giustizia di Milano

Il Palazzo di Giustizia di Milano

'Caso Longarini' atto terzo, l'ultimo e decisivo. Nella certezza di essere in possesso di "elementi di rilievo" la Procura generale di Milano ha inoltrato ricorso in Corte di Cassazione contro la sentenza con la quale i giudici meneghini il 5 novembre scorso i giudici meneghini Piero Gamacchio, Maurizio Boselli e Maria Rosaria Rinaldi hanno assolto l'ex pm aostano Pasquale Longarini (oggi giudice a Imperia), l'imprenditore alimentare Gerardo Cuomo (entrambi nella foto) e l'albergatore e commerciante di Aosta Sergio Barathier, accusati di induzione indebita a dare e promettere utilità e, solo Longarini, rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento.

La conferma del ricorso agli 'ermellini' giunge dalla segreteria del pm Fabio Napoleone, che ha retto l'accusa in Appello. Assolti tutti e tre gli imputati in primo grado nel 2019, la procura generale era ricorsa in Appello chiedendo di ribaltare la sentenza e di confermare le condanne chieste ovvero tre anni di carcere per Longarini, due per Cuomo e due mesi per Barathier. Identica richiesta è contenuta nell'atto di terzo grado.

L'ex pm era stato accusato (l'inchiesta della Guardia di finanza milanese avviata nel 2016 su segnalazione dell'allora Procuratore capo di Aosta Marilinda Mineccia era stata coordinata dai pm Polizzi e Pellicano) di avere aiutato Cuomo, nell'aprile 2015, "ad eludere le investigazioni condotte dalla Dda di Torino" in un "procedimento penale" in "materia di criminalità organizzata, rivelandogli" di essere sottoposto a intercettazioni telefoniche. Per questo motivo, l'imprenditore avrebbe interrotto le conversazioni con il boss Giuseppe Nirta. Il procedimento in questione è l'inchiesta 'Geenna' coordinata dal pm della Dda di Torino Stefano Castellani.

Ma proprio Castellani - è riportato nelle motivazioni della sentenza di Appello - ai colleghi di Milano nel corso delle indagini su Longarini aveva precisato, si legge, "che Cuomo era stato intercettato al solo fine di capire le ragioni degli incontri e dei contatti con Nirta, il che significava che per gli operanti il contenuto intrinseco delle sue conversazioni era irrilevante. Non solo: l'interruzione dei rapporti tra Cuomo e Nirta, lungi dall'essere ingiustificata, era assolutamente motivata sul piano commerciale. Castellani aveva anche confermato che Cuomo e Nirta si erano effettivamente incontrati nella pizzeria di Antonio Raso (condannato in primo grado in 'Geenna', e che le affermazioni del titolare del Caseificio Valdostano di essere stato consigliato da un amico a 'stare lontano' da Nirta erano assolutamente generiche e riferite a più persone mai identificate.

Sentito come persona al corrente dei fatti dalla Dda che indagava su Nirta, lo stesso Cuomo spiegò di essere stato truffato da Nirta: "Ci accordammo per una fornitura", la prima e unica,  "di 7.000 euro, che pagai con bonifico, con pagamento anticipato, ma ricevetti la metà del valore della merce concordata"; da lì iniziarono problemi che, secondo quanto da lui affermato e ritenuto attendibile dai giudici di Appello, indussero l'imprenditore valdostano a interrompere i rapporti.

Quanto al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, contestato a Longarini per aver indicato all'albergatore Barathier (che era da lui indagato per reati fiscali) di acquistare prodotti dell'azienda di Cuomo, per i giudici di appello "non era individuabile alcun abuso dei poteri da parte di Longarini in quanto questi si era limitato a segnalare la professionalità e la qualità dei prodotti del Caseificio Valdostano, non facendo affatto leva sui poteri che gli derivavano dalla propria posizione istituzionale". Longarini "infatti, agiva soltanto in ragione dei suoi rapporti di amicizia con Coriasco (direttore dell'Hotel Royal di proprietà di Barathier ndr)".

Tesi che la Procura generale di Milano intende ricontestare in toto.

 

pa.ga.

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