Come alle Idi di Marzo, vollero colpire il cuore dello Stato.
Quel giorno ho pianto in silenzio, per la tragica fine del mio maestro: il Maresciallo Leonardi. Ho i suoi occhi fermi e fieri impressi nella memoria, lo sguardo di un uomo che morirà è un’esperienza che non si dimentica più, perché quell’uomo è uno di noi. È un anticipo della nostra morte.
Leonardi era il capo della scorta di Aldo Moro, anche lui poche settimane dopo barbaramente sacrificato e fatto ritrovare accartocciato dentro una utilitaria rossa. Ma io quel giorno pensavo ai colleghi della Pubblica Sicurezza e a Domenico, un altro Carabiniere padre di famiglia. Erano morti tutti. Vite sacrificate nel tentativo estremo di proteggere un grande Uomo di Stato. La follia del gruppo terroristico delle “brigate rosse” ormai teneva in ostaggio l’intero Paese, uccidendo chiunque si opponesse alle teorie deliranti pseudo rivoluzionarie: giornalisti, sindacalisti, accademici, amministratori.
Ero un giovane sottufficiale, mi addestravano per proteggere e investigare ma il dolore per la perdita ingiusta di un padre professionale era insopportabile.
Quell’epilogo era in un atto violento e inutile. Nel sangue. Mi chiedevo quanto sarebbe durata l’atmosfera di quegli anni di piombo, quando dietro ad ogni angolo di strada poteva aspettarti la morte. Capii che il terrorismo è una forma di tirannia senza senso in cui chi uccide vuol dimostrare che è capace di uccidere.
Trovai quell’atmosfera nei versi del nostro Poeta:
Ond’io a lui: « Lo strazio e ’l grande scempio
che fece l’Arbia colorata in rosso,
tali orazion fa far nel nostro tempio ».
Il Poeta più volte si duole amaramente delle lotte fratricide che arrossano le acque dei fiumi, presenti purtroppo anche nel tempo in cui vivo. Se lo scontro fosse stato invece un confronto dialettico, moltissime vite innocenti sarebbero state risparmiate. Fui certo, leggendo, di aver fatto della mia vita la scelta giusta.