CRONACA - 16 novembre 2018, 22:59

Tragedia di Aymavilles, quando si è costretti a guardare in faccia il malessere

Tragedia di Aymavilles, quando si è costretti a guardare in faccia il malessere

Come aveva fatto nel 1994 quando un suo 'fils du pays', il geometra 23enne Walter Teppex, una notte aveva ucciso la madre Giannina Gobbo con otto coltellate perchè, a suo dire 'non lo considerava', oggi la comunità di Aymavilles sconvolta e incredula si stringe come può, con affetto e partecipazione, attorno al dolore infinito delle famiglie Empereur e Charrère.

Una madre, Marisa Charrère, troppo fragile per continuare a vivere, divorata dai suoi fantasmi, ha deciso di farla finita e di portare con sè i suoi due figli Nissen di 7 e Vivien di 9 anni. La sera di giovedì 15 li ha addormentati con un sedativo, poi ha iniettato a ciascuno un mix letale di farmaci (a base di potassio, verosimilmente) e ha riservato l'ultima siringa per sé.

"Un gesto d'amore estremo, la paura di lasciarli soli in un mondo infernale", dicono gli esperti e sicuramente hanno ragione. Ma a non darsi pace adesso c'è un'altra madre, quella di Marisa che aveva già perso il coniuge e un figlio; e c'è un padre e marito, Osvaldo Empereur, che oltre a dover trovare la forza di sopportare la sofferenza per una perdita che è una voragine incolmabile deve anche fare i conti con gli inevitabili sensi di colpa che un suicidio - e questo è addirittura 'allargato' come spiegano gli psichiatri - lascia sempre dietro di sé in chi resta.

Un uomo a cui viene meno anche l'obbligo di lottare per cercare la verità: gli accertamenti sulla dinamica del terribile gesto, sulle modalità di ritrovamento delle salme, le analisi scientifiche sulla quantità di farmaci utilizzati,  potranno forse aiutare a capire la sequenza degli accadimenti ma non ne spiegano le ragioni e ai fini della verità non contano nulla, perchè qui non c'è fascicolo giudiziario, l'inchiesta è già finita e l'esame autoptico è un atto dovuto ma nulla di più. "La morte del reo estingue il reato" spiega con semplice freddezza il Codice penale e il reo in questo caso è autore e nel contempo vittima del suo stesso assassinio.

Voltare pagina, però, non si può. Non potranno farlo per molto tempo le famiglie Empereur e Charrère, segnate per sempre dalla necessità di ricordare meglio che potranno i loro cari (perchè il ricordo che oggi lacera domani sarà di conforto); non possono e non devono farlo le istituzioni (politiche, religiose, di pubblica sicurezza) perchè l'omicidio-suicidio consumatosi ad Aymavilles non solo giunge al culmine di un autunno segnato in Valle d'Aosta da altri quattro suicidi e da un numero inquietante di ricoveri in strutture psichiatriche, ma segna un'altra terribile tappa dell'interminabile trail che vede protagonista assoluto un malessere 'valdostano', di cui tanto si parla ma che nessuno è stato capace di spiegare, e quindi iniziare a curare, una volta per tutte.

I suicidi nella nostra regione hanno raggiunto numeri record e di tragedie familiari se ne contano tante, troppe se rapportate al numero di abitanti. Se Aymavilles ricorda ancora Walter Teppex, Cogne porta il marchio indelebile di Anna Maria Franzoni che nel 2002 uccise il figlio Samuele; Montjovet quello di Olga Cerise che lo stesso anno, proprio come Marisa Charrère, uccise i suoi due figli di 4 anni e 21 giorni in un laghetto di Brissogne cercando poi lei stessa la morte (sopravvisse, da tempo ha avviato un lento ma proficuo recupero psicologico); Quattro anni prima Antonietta Lessi con un'ascia aveva assassinato il marito a Gressan, dopo anni di angherie; nel 2003 Laura Saccottelli uccise il marito Ilario Torreano; nel 2004 l'orribile omicidio suicidio di Michelino Chasseur, che prima di togliersi la vita assassinò i figli Davide e Silvano, di 30 e 27 anni e un suo vicino, Giulio Becquet.

Un macabro elenco che potrebbe continuare unitamente a una catena di suicidi, di volenze domestiche e di tossicodipendenze da alcool e droga a testimonianza che un certo disagio, per usare un eufemismo, in Valle d'Aosta pare aver trovato terreno fertile per crescere.

Oltre alla presa d'atto c'è forse qualcosa da fare, e da subito, per contrastare un male oscuro che ostinatamente e per troppo tempo ci si è rifiutati di vedere.

 

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patrizio gabetti

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