- 07 dicembre 2017, 10:00

Il tempio del dio denaro è sempre il più affollato

Il tempio del dio denaro è sempre il più affollato

La notizia che ha ispirato queste mie riflessioni è quella apparsa su tutti i giornali per alcuni giorni: la proroga, da parte della UE, all’uso del glifosato in agricoltura. Ciò che mi ha stupito è come l’argomento sia stato sì ampiamente divulgato, ma le reazioni generali siano state tiepide, come se la logica strettamente commerciale alla base della decisione sia stata rassegnatamente recepita anche da chi, in tempi non troppo lontani, avrebbe assediato i palazzi del potere per contestare l’ennesimo attacco all’ambiente per mero interesse economico.

Pochi mesi fa era toccato alla conferenza mondiale sul clima: poche notizie, nessun risultato, nessuna protesta. Trump ha detto no ad interventi decisivi, troppo costosi per l’industria americana, ed ecco che il mondo china la testa e finge di credere che il riscaldamento globale non esista.

Persino encomiabili questioni umanitarie si sono scoperte infangate da volgari interessi economici cui la comunità internazionale non vuole evidentemente porre fine. Comunità che non si fa scrupolo, ormai è chiaro, di tollerare sporchi traffici e massacri pur di conservare lucrosi spazi di mercato.

Grandi e piccole “battaglie” si stanno spegnendo mestamente per mancanza di argomenti da contrapporre a ragioni prettamente finanziarie; ne sanno qualcosa gli animalisti, che non riescono a spuntarla sull’abolizione della caccia, che sarebbe sparita da tempo se non producesse un lauto indotto, o sulla chiusura dei brutali allevamenti intensivi, troppo preziosi per l’industria alimentare.

Insomma non c’è aspetto della vita che non manifesti, ormai, la nostra fervente devozione al dio denaro. Non scopro certo l’acqua calda, lo so bene, ma la deriva dei nostri valori sembra destinata a non arrestarsi di fronte ad alcun limite di decenza, se anche l’uomo comune non prova più indignazione e ribellione.

Nel nostro piccolo quotidiano non siamo così drammaticamente perduti, ma certo soggiaciamo con sempre maggiore condiscendenza alla mentalità diffusa per la quale si vale non per quello che si è ma per quello che si possiede, e quindi non ci sappiamo sottrarre a qualsivoglia lusinga che ci faccia apparire ricchi, benestanti, alla moda. Chi imbroglia, evade il fisco o guadagna ambiguamente è visto quasi con invidia come un furbetto che vorremmo imitare.

Ci appelliamo spesso alle nostre tradizioni, specie adesso che ci sentiamo minacciati, ad esempio, da altre culture. Eppure questo periodo dell’anno scopre penosamente il vuoto culturale di certe esternazioni: cosa rimane delle nostre tradizioni nella baraonda commerciale che precede il Natale, ogni anno sempre più anticipata al punto che si vedono i primi abeti decorati già dopo i Santi (pardon… halloween, ben più commerciale). Mi piacerebbe sapere a quanti la parola “natale” suggerisce un qualcosa che non sia la corsa ai regali, ai banchetti, alla spesa sfrenata.

Perché scandalizzarci allora per i nostri politici? Non sono forse figli del nostro tempo, seguaci della nostra stessa “religione”? La loro poltrona equivale a potere e abbondanza, chiaro che è così difficile lasciarla…

Il tempio del dio denaro è sempre il più affollato.

panta rey

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