EVENTI E APPUNTAMENTI - 25 ottobre 2018, 10:06

Tra pochi giorni in edicola e in libreria 'Walk This Way' di Simone Nigrisoli

Simone Nigrisoli e la copertina del suo volume

Simone Nigrisoli e la copertina del suo volume

Giornalista pubblicista e fotoreporter, vive a Roma ma ha solide radici aostane Simone Nigrisoli, autore del volume 'Walk This Way. La subcultura hip-hop dagli Stati Uniti all'Italia', in uscita a novembre per Europa Edizioni nelle edicole italiane.

Nigrisoli ha studiato a Urbino, dove si è laureato in Scienze delle Comunicazioni all'Università 'Carlo Bo'. Nella sua carriera ha collaborato diversi anni con il Resto del Carlino, scrivendo nelle pagine di arte, cultura, cronaca e politica.

Aostacronaca ha chiesto all'autore di raccontare la genesi del libro e come questo testo può aiutare le giovani generazioni a comprendere meglio la loro stessa realtà quotidiana.

AC - Simone, se è vero, com'è scritto nella Bibbia, che "a far libri non c'è fine", c'era davvero bisogno di un nuovo saggio sull'underground hip hop?

SN - In realtà non credo. In Italia è pieno di testi e romanzi su questo argomento, e ce ne sono anche di molto più approfonditi del mio. Io ho voluto fare una cosa sul mio stile, ovvero sociologica, che dà una lettura di questo fenomeno subculturale diversa, come nessuno aveva mai fatto prima(o come dice il mio amico “Mc Shark”, come nessuno si era mai osato fare prima). Fino ad adesso chi lo ha letto ne è rimasto entusiasta, e si è divertito. Soprattutto mi hanno fatto i complimenti per aver sintetizzato i punti fondamentali che bisogna conoscere per avere un'idea chiara su che cos'è l'hip hop. Detto questo ci tengo a precisare che non ho fatto questo libro perchè volevo trovare un argomento che mancava all'editoria italiana, ma semplicemente perchè mi andava di farlo. Dopotutto si tratta della mia prima opera e sto ancora cercando di capire se sono portato o no a scrivere saggi. Magari dal prossimo libro inizierò anche a valutare i gusti dei fruitori in questo ambito, ma di sicuro questo progetto non è nato con questo scopo.

AC - L'hip hop racconta mondi lontanissimi da realtà provinciali come Aosta ma anche da città snob, pigre, antiche e culturalmente destroidi come Roma...o no?

Se c'è una cosa che ho capito nell'ultimo anno è che puoi essere un ragazzo di periferia anche se nasci in una città piccola come Aosta o in un quartiere della Roma bene come Parioli. La provincia te la senti dentro. È una cosa che ti caratterizza, che ti fa sentire escluso dalla società e di conseguenza ti porta a voler combattere le ingiustizie e a cercare di migliorare il mondo. Penso che anche ad Aosta ci siano molti ragazzi che si sentono così, ed è molto probabile che questi ragazzi si avvicinino all' hip hop, proprio per trovare una via di fuga. Roma poi è molto grande, e su 6 milioni di abitanti sono moltissime persone che girano attorno al mondo dell'hip hop. Qui ci sono artisti storici come Ice One, Assalti frontali, Piotta, Colle der Fomento e Cor Veleno. Non c'è bisogno di rendere 'accattivante' la mappa concettuale delle subculture, basta raccontare le cose come stanno, e ci saranno sempre persone che si rivedono in ciò che descrivi, sia ad Aosta che a Roma, o in qualsiasi altro posto nel mondo. Poi intendo aggiungere che secondo me Roma storicamente è molto più sinistroide che di destra. A destra ci ha svoltato negli ultimi anni da quando i giovani non fanno più politica, e da quando si sta perdendo il sentimento popolare nelle periferie. L'hip hip romano inoltre è molto collegato con le battaglie della sinistra extraparlamentare e lo è ancora oggi. Ogni città ha sua parte subculturale e di lotta sociale, al di là delle etichette che gli vengono affibbiate. Anche la 'Milano da bere' degli anni Ottanta aveva i Dark e i Punk al Leoncavallo, e di certo a loro dell'edonismo e dell'auto celebrazione individuale che c'era in quegli anni non importava proprio nulla. Ecco, l'hip hop si colloca contro questi valori, tra coloro a cui non importa nulla dei trend culturali dominanti. Ed è per questo che mi piace un sacco.

AC - Come avvicineresti giovanissimi fans di Fedez o Noemi, tanto per fare due esempi, alla cultura hip hop?

Sinceramente non saprei. Penso che da bambino sia normale ascoltare musica commerciale, io ero un grande fan di Nek, Ligabue ed Eros Ramazzotti. Avevo anche un disco delle Spice Girls. Poi quando diventi adolescente ti viene spontaneo cercare qualcosa di più profondo. La cultura hip hop comunque la conosci in tv, perchè tra film, programmi e video musicali non puoi sfuggirne. Poi il secondo step lo fai in strada, magari vedendo con i tuoi occhi qualche b-boy esercitarsi in una delle quattro discipline. É difficile comunque cercare di avvicinare una persona alla cultura hip hop, è una cosa che deve partire dalla persona. Anche perchè stiamo parlando di una cultura black, che non tutti possono arrivare a comprendere fino in fondo. Puoi diffondere la filosofia hip hop: la non violenza, l'antirazzismo, il concetto di sfida, la pace e l'amore per tutte le creature del mondo. Questi valori andrebbero insegnati persino nelle scuole secondo me, fin dalle elementari. Poi che ognuno ascolti la musica che vuole. Ma sono sicuro che la filosofia dell'hip hop è qualcosa che tutti dovrebbero conoscere. Dopotutto ho scritto questo libro anche per questo, nonostante io non sia mai stato un b-boy, e la mia musica preferita sia il Punk Rock.

AC - Vivere nei centri sociali, dove la subcultura si alimenta, cresce e crea possibilità: per te cosa significa?

Ho conosciuto la realtà dei centri sociali un anno fa quando sono venuto a Roma. Dietro casa mia c'è l'Astra e Puzle, due centri sociali molto attivi nel quartiere Tufello. Nei centri sociali ci puoi trovare di tutto: dallo studente di medicina che un giorno sarà dottore al ragazzo che fa un lavoro part time come idraulico. Non ho mai vissuto nei centri sociali, ma diciamo che li ho abbastanza frequentati e ci ho sconosciuto persone molto interessanti. Alcune volte ho partecipato anche come volontario alle loro iniziative e devo dire che mi sono divertito e sono stato davvero bene. Sono state delle belle esperienze di politica e socialità, che mi hanno fatto molto crescere. Credo che affibbiare oggi come oggi il termine subcultura ai centri sociali sia sbagliato però. Oggi non siamo più negli anni Ottanta e Novanta, e i centri sociali si sono molto “modernizzati”. La musica e lo svago non sono più centrali come un tempo. Oggi i centri sociali collaborano con le associazioni, con i comitati di quartieri e persino con le amministrazioni comunali per migliorare le città. Aiutano la comunità e danno sostegno alle famiglie in difficoltà del quartiere. Con me poi si sono sempre comportati bene. Mi hanno sempre aperto la loro porta e fatto sentire a casa. Mi hanno offerto cene e sono sempre stati disponibili come se fossi uno di loro. Certamente, non condivido al 100% tutta la loro filosofia e la loro visione politica delle case occupate, ma se posso li difendo, perchè ho visto con i miei occhi che sono organizzazioni positive per la comunità.

AC - Quale messaggio sociale lancia la subcultura hip hop e a chi è rivolto?

Il messaggio sociale che lancia la subcultura hip hop è quello che di pace e amore. Può sembrare davvero una cosa “sciocca”, ma in realtà segue una linea ben precisa e un filo di pensiero logico. L'hip hop è una filosofia che punta al benessere dell'individuo e della comunità. Penso sia l'unica cultura che abbia un obiettivo sia individuale che sociale. In principio era rivolto agli esclusi della società. Ma io non la vedo così drastica, e come ho spiegato poc'anzi, penso che l'hip hop possa essere rivolto a tutti.

 

p.g.

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