C’è un concetto che mi assilla, uno di quelli che ti girano in testa alle tre di notte, mentre il resto del mondo dorme beato nella propria confortevole incoerenza. Ed è questo: esiste la morte legale e la morte illegale. O, meglio ancora, esiste la morte che fa curriculum e quella che ti fa finire su una lista.
Permettetemi di spiegare questa meravigliosa costruzione logica che regge le nostre democrazie occidentali.
Quando lo Stato – il nostro Stato, quello con la bandiera che sventola e l’inno che commuove – decide di comprare armi con i nostri soldi (sì, quelli delle vostre tasse, cari contribuenti) e di spedirle a un Paese aggredito, noi siamo benefattori. Eroi silenziosi della democrazia. Paladini della libertà. Mettiamo la bandierina gialla e blu sul profilo Facebook e dormiamo tranquilli perché stiamo dalla parte giusta della Storia.
Ora facciamo un esperimento mentale. Dall’altra parte della barricata c’è una persona, un’organizzazione, un gruppo di cittadini che raccoglie soldi per mandare aiuti a un popolo – attenzione: non a uno Stato riconosciuto, ma a un popolo – che si difende da un aggressore.
BOOM. Terrorismo.
Se tu, privato cittadino, decidi di aiutare una popolazione che lotta contro chi le ruba la terra, la casa, la dignità, tu non sei un filantropo. Sei un terrorista. O complice di terroristi. O simpatizzante. O come diavolo vogliamo chiamarlo per dormire meglio la notte.
Facciamo un piccolo salto temporale. Anno 1945, Italia. I fascisti chiamavano “terroristi” i nostri partigiani. Perché? Perché faceva comodo, ovviamente. Non erano un esercito regolare, non avevano uniformi. Erano studenti, contadini, casalinghe. Oggi li definirebbero una banda di mascalzoni, fannulloni e disturbatori della quiete pubblica. Erano semplici cittadini contro degli aggressori.
Oggi li chiamiamo eroi. Abbiamo dedicato loro vie, piazze, monumenti. Il 25 aprile è festa nazionale. Resistenza, con la R maiuscola.
Ma attenzione: questo vale solo retroattivamente. E solo se hai vinto.
Eccoci al punto dolente, quello che fa saltare i nervi a mezzo internet. I palestinesi. Cisgiordania, Gaza, Libano. Gente che vede le proprie case rase al suolo, le proprie terre confiscate, i propri figli uccisi. Stanno forse lottando contro uno Stato aggressore? Uno Stato che espande i propri confini come fosse un gioco di Risiko, che bombarda ospedali e scuole, che considera i civili “danni collaterali” accettabili?
Ma qui casca l’asino. O meglio, qui casca la nostra splendida ipocrisia occidentale.
Perché questi non vanno aiutati? Perché se io, cittadino libero di una libera democrazia, decido di mandare soldi a queste persone, divento automaticamente un terrorista. Non un benefattore. Non un filantropo. Un terrorista.
Allora spiegatemi – e vi prego, senza le faccine del cazzo, senza i “rosica”, senza il solito “eh ma tu sei un sinistroide che non capisce un cazzo” – qual è la differenza.
Perché alcuni popoli, alcuni Stati, alcune persone hanno il diritto di difendersi e noi li aiutiamo con orgoglio, mentre altri no?
Qual è il criterio? Il colore della pelle? La religione? Gli interessi economici? Il fatto che uno Stato sia nella NATO e l’altro no? Il fatto che uno abbia l’atomica e l’altro no?
La risposta, naturalmente, è semplice e brutale: la morte legale è quella autorizzata da chi comanda. Punto. Fine della storia.
Se il tuo aggressore è amico dell’Occidente, puoi morire quanto vuoi: sarà sempre colpa tua. Se invece il tuo aggressore è il cattivo di turno designato dal narratore globale, allora ogni tua vittima diventa un martire, ogni tua resistenza diventa eroismo.
Non è terrorismo quello che fai. È terrorismo quello che decidiamo che sia terrorismo.
I partigiani del ’45 erano terroristi per i fascisti. Oggi sono eroi per noi. La differenza? Hanno vinto. E hanno vinto dalla parte che poi ha scritto i libri di storia.
Ecco il paradosso finale, servito su un piatto d’argento: tutti i popoli hanno diritto di difendersi. Lo dice il diritto internazionale, lo dicono le convenzioni, lo diciamo noi stessi nei nostri bei discorsi da salotto.
Però – c’è sempre un però – questo diritto vale solo se:
hai uno Stato riconosciuto
hai un esercito regolare
hai le bandiere giuste
hai gli amici giusti
combatti i nemici giusti
Se ti manca anche solo uno di questi requisiti, congratulazioni: la tua lotta per la sopravvivenza diventa terrorismo. I tuoi morti diventano statistiche. La tua disperazione diventa fanatismo.
Quindi sì, esiste la morte legale e la morte illegale. Esiste il resistente e il terrorista. Esiste chi può essere aiutato e chi no. E la differenza non sta nella giustizia della causa, nella disperazione delle persone, nell’evidenza dell’aggressione.
La differenza sta in chi decide le regole del gioco.
E se questo non vi fa sentire a disagio, se non vi fa venire voglia di vomitare davanti alla nostra collettiva ipocrisia, allora forse il problema non sono i “terroristi”.
Il problema siamo noi, che abbiamo imparato a distinguere tra morti di serie A e morti di serie B, tra sangue che conta e sangue che è solo un fastidioso dettaglio geopolitico.
Ma tranquilli, continuate pure a mettere la bandierina del Paese giusto sul vostro profilo. Continuate pure a sentirvi dalla parte giusta della Storia. Dopotutto, è molto più comodo che fare domande scomode.
P.S. E adesso aspetto i commenti: “sinistroide”, “rosica”, “non capisci un cazzo”. Il solito repertorio dei vuoti a perdere che non hanno argomenti, ma hanno tante, tantissime faccine.