C'è un momento preciso in cui ti accorgi di vivere nell'era dei vuoti a perdere. Per me è stato stamattina, mentre cercavo notizie sulla pace in Ucraina, scorrendo tra le dichiarazioni di Trump e gli incontri con Zelensky. Ed ecco che appare: "Batte la pesca Antonio", foto profilo di un cocker spaniel, data di nascita inesistente, tre miseri post nella sua intera esistenza digitale – una gara di moto, una partita di calcio e un "vaffanculo" seguito da una figurina che pare voglia rappresentare un montarozzo di cacca – lasciato sotto un mio post.
Benvenuti nella società dei fantasmi digitali, dove il 70% degli abitanti non è composto da persone, ma da involucri vuoti che grugniscono emoticon.
Guardiamo i numeri: politici che forse non raccolgono i voti neanche dei propri genitori vantano 50-60.000 follower su Facebook. Vai a controllare chi sono questi devoti sostenitori e scopri che arrivano dall'Ungheria, dalla Polonia, da qualche server farm in qualche angolo dimenticato del mondo. Account nati non dall'incontro tra un maschio e una femmina – chiamiamola pure all'antica – ma partoriti da algoritmi, creati a tavolino, figli deformi di qualche programmatore pagato quattro soldi per gonfiare l'ego di aspiranti influencer.
Sono lì, schierati come un esercito di zombie digitali, pronti a vomitare il loro contributo alla discussione pubblica: "rosica", "sinistroide", "venduti", "toghe rosse". Un tripudio di monosillabi e geroglifici, l'apoteosi dell'analfabetismo funzionale travestito da partecipazione democratica.
Steve Jobs ci diceva: "Stay hungry, stay foolish", tradotto in italiano: "Siate folli, siate affamati". Ecco, questi sono semplicemente foolish. Il "hungry", ritradotto in italiano, sono rimasti i pazzi e ci siamo persi gli affamati di conoscenza, di cultura, di voglia di imparare e scoprire.
Quando è arrivato internet, ci siamo illusi tutti. Finalmente dizionari a portata di clic, enciclopedie infinite, biblioteche sconfinate aperte 24 ore su 24. Pensavamo: "Che meraviglia, adesso la conoscenza sarà democratica, universale, accessibile!"
E invece? Ci siamo ritrovati con casalinghe con la terza media che pretendono di discutere di relatività einsteiniana. Un giorno virologhe, il giorno dopo costituzionaliste. Tizi con diciotto foto della loro squadra di calcio che diventano improvvisamente esperti di geopolitica e strategia militare. Forse è per questo che andiamo così male: abbiamo troppi esperti di tutto e conoscitori di niente. L'arte del “Vuoto Totale”.
Ma torniamo ai nostri vuoti a perdere, questi splendidi esemplari di inconsistenza digitale. Osserviamoli nel loro habitat naturale: profilo vuoto, foto del cane (o del gatto, o di un tramonto sfocato), zero informazioni personali, zero contenuti originali. Eppure sono ovunque, pronti a commentare, a sentenziare, a distribuire patenti di patriottismo o di tradimento a seconda della stagione politica.
Non hanno dignità, perché la dignità richiede un'identità. Non hanno cultura, perché la cultura richiede curiosità. Non hanno voglia di sapere, perché sapere richiede fatica. Loro sono qui solo per il brivido dell'insulto gratuito, del "ti ho distrutto" seguito da tre faccine che piangono dal ridere.
È impossibile discutere con loro. È come cercare di giocare a scacchi con un piccione: butterà giù tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà convinto di aver vinto.
Allora cosa fare con questa moltitudine di ectoplasmi digitali? La risposta è semplice e spietata: leggi, ridi amaramente, blocca.
Non è cinismo, è igiene mentale. È l'unico modo per rendere questo mondo virtuale un po' più vivibile, un po' più simile a una società composta da persone vere, con un briciolo di cultura, con un filo di dignità, con almeno la voglia di imparare invece che di offendere.
Perché alla fine, quando incontri "Batte la pesca Antonio" che ti lascia un vaffanculo accompagnato da emoji ridenti, l'unica domanda che ti viene da farti è: come siamo arrivati a questo? Come abbiamo trasformato la più grande opportunità di condivisione della conoscenza umana in un immenso cassonetto digitale pieno di spazzatura parlante?
La risposta, forse, sta proprio nella facilità con cui abbiamo confuso la possibilità di parlare con l'avere qualcosa da dire.