C’è un paradosso che la dice lunga sulla direzione in cui stiamo scivolando: siamo la regione che promuove autenticità ma rischia di rimanere un set senza comparse. La Valle d’Aosta, terra di borghi intatti, tradizioni enogastronomiche e turismo internazionale, è anche la regione italiana con la più alta percentuale di negozi sfitti: 28,1% della rete commerciale. Lo certifica l’Ufficio Studi di Confcommercio.
Numeri che non si limitano a descrivere un’economia in difficoltà, ma fotografano la dissoluzione silenziosa del collante sociale. Perché la vetrina spenta non è un fatto di mercato, è un simbolo: è la panchina vuota davanti al bar, è la piazza che non convoca più, è la comunità che va in apnea.
In tutta Italia i negozi sfitti sono 105mila, più di un quarto chiusi da oltre dodici mesi. E gli esperti prevedono che il brutto debba ancora arrivare: senza interventi di rigenerazione urbana, entro il 2035 spariranno altre 114mila attività. Un quinto del commercio di vicinato: come togliere il cuore e sperare che il corpo continui a camminare.
“I dati sulla Valle d’Aosta sono drammatici e richiedono un intervento urgente”, scandisce Graziano Dominidiato, presidente di Confcommercio Valle d’Aosta. “Le vetrine vuote non sono un dettaglio economico: rappresentano la morte dell’anima dei nostri centri abitati”.
E aggiunge un dettaglio che dovrebbe far riflettere chi ha responsabilità politiche: “Quando si spegne l’ultima vetrina inizia l’agonia di una comunità”. Una frase che sa di diagnosi crudele ma necessaria: il commercio non vende solo prodotti, vende relazioni.
Confcommercio Valle d’Aosta: 70 anni di rappresentanza e 3.000 imprese associate
In questa fotografia crepuscolare, Confcommercio Valle d’Aosta non è un osservatore esterno: è il principale soggetto organizzato dell’economia privata valdostana, con oltre 3.000 imprese del commercio, del turismo, dei servizi, del trasporto e della logistica, e una storia di più di settant’anni sul territorio.
Non si limita a emettere comunicati d’allarme: forma imprenditori, supporta le imprese familiari, affianca gli esercenti alle prese con burocrazia e normative, offre consulenza fiscale e previdenziale, promuove iniziative turistiche, coordina categorie professionali. È spesso l’unica vera “antenna sociale” capace di intercettare in anticipo i segnali di crisi nei paesi e nelle frazioni.
Eppure — questo il sottotesto — non sempre viene coinvolta nei tavoli istituzionali con la tempestività che la situazione richiede.
Non lo dicono apertamente, ma il messaggio è chiaro: non si esce dalla desertificazione commerciale senza chi il territorio lo vive ogni giorno.
Dominidiato lo sottolinea con forza: “La ristorazione valdostana è uno degli elementi attrattivi del territorio, al pari delle nostre montagne e dei prodotti tipici”. Un turista non torna per un depliant, torna perché ha incontrato qualcuno, ha parlato con un negoziante, ha respirato una comunità.
Senza negozi, senza bar, senza ristoranti — anche piccoli, anche stagionali — i nostri paesi diventano parcheggi panoramici. Luoghi belli da guardare, ma non da vivere. E non è un destino inevitabile. È un bivio politico.
Confcommercio Valle d’Aosta chiede di diventare partner operativo delle politiche pubbliche per la rinascita dei centri urbani. Nel dettaglio propone: Patti locali per riattivare immobili sfitti con canoni calmierati; incentivi al rientro e al recupero commerciale; tavoli permanenti istituzione–imprese; aggiornamento della normativa regionale ferma a 25 anni fa; progetti di rigenerazione turistica e commerciale dei centri storici; partenariati pubblico-privati per nuove economie di prossimità.
Un’agenda fitta, ambiziosa, che però parte da un principio elementare: non si governa la crisi senza ascoltare chi la vive quotidianamente.
“Non possiamo permetterci di svuotare interi paesi o quartieri di Aosta”, conclude Dominidiato. Il tono è quello di chi non sta lanciando un messaggio politico, ma un SOS civile.
Perché una valle senza negozi è come un sentiero senza orme: puoi percorrerlo una volta, magari due, poi smette di essere un luogo e diventa un ricordo.
E i ricordi, si sa, non ci fanno vivere. Al massimo, ci tengono nostalgicamente fermi. E questa, per la Valle d’Aosta, sarebbe la più triste delle destinazioni.