ATTUALITÀ ECONOMIA - 05 dicembre 2025, 12:00

Povertà sanitaria in aumento, 500 mila persone chiedono aiuto

In Italia aumenta la povertà sanitaria. Cinquecentomila persone hanno chiesto aiuto alle realtà assistenziali convenzionate con il Banco Farmaceutico per ricevere farmaci e cure che altrimenti non avrebbero potuto permettersi.

Nel 2025 le persone in condizioni di povertà sanitaria assistite dal Banco Farmaceutico sono 501.922, in crescita dell’8,4% su base nazionale, anche se con differenze regionali.

Oltre 233 mila sono italiani, 268 mila sono stranieri. La povertà sanitaria torna a crescere e il forte aumento fra gli stranieri “è il segnale rilevante di una crescita dell’emergenza sanitaria là dove, per molti motivi, l’accesso ai diritti è più difficile”. Sono molti i minori in povertà sanitaria: 145.557 (pari al 29%), mentre gli anziani sono 109.419 (il 21,8%).

I dati vengono dal Rapporto sulla povertà sanitaria, realizzato da OPSan (Osservatorio sulla Povertà Sanitaria), l’organo scientifico di Banco Farmaceutico.

Il dossier ripercorre le dimensioni della povertà sanitaria e le differenze di spesa e comportamenti fra famiglie povere e famiglie non povere. Chi ha difficoltà economica si barcamena fra adattamento e rinuncia alle cure e sacrifica la salute per altre necessità.

Le famiglie povere spendono per la salute molto meno, in termini assoluti, delle altre famiglie: 10,66 euro mensili pro capite contro 67,97 euro. Spendono meno anche in termini relativi: solo il 2,1% della loro spesa totale è destinato alla sanità, contro il 4,4% delle famiglie non povere.

Nelle famiglie povere, inoltre, la spesa per farmaci rappresenta una quota molto più alta della spesa sanitaria (56,2% contro 40,0%). Le famiglie più povere, si legge nel dossier, “tendono a limitarsi all’acquisto di farmaci, rinunciando ad altre prestazioni sanitarie (visite specialistiche, esami diagnostici ecc.), con potenziali effetti negativi sulla salute a lungo termine e il rischio di aumento della cronicizzazione delle patologie”.

La condizione economica influenza quantità e qualità delle cure cui si accede. Le famiglie povere spendono ogni mese, proporzionalmente, di più in medicinali (58,6% vs il 39,6% delle famiglie non povere), ma molto meno in servizi dentistici (6,8% vs 22,6%) e in ausili sanitari (protesi, ausili per la mobilità, per la comunicazione). Contrariamente a quanto atteso, la spesa per la prevenzione è leggermente superiore tra le famiglie povere rispetto a quelle non povere (15,6% vs 14,4%). Particolarmente accentuata la distanza di spesa per servizi dentistici.

Nei comportamenti, che oscillano fra adattamento e rinuncia alle cure, le famiglie più povere limitano il numero di visite e accertamenti medici (24,3%), o si rivolgono a medici e centri diagnostici più economici (7%) in misura superiore rispetto alle altre famiglie (rispettivamente 3,7% e 10,6%).

La rinuncia alle cure è un indicatore di disuguaglianza sociale. Il dossier denuncia che “nonostante l’universalismo formale del SSN, l’accesso effettivo ai servizi resta condizionato da fattori economici, oltre che culturali (spesso associati) e organizzativi (si pensi al tema delle liste d’attesa). Le famiglie povere, più delle altre, si trovano a dover scegliere tra curarsi e sostenere altre spese essenziali (affitto, cibo, istruzione dei figli ecc.). Questo fenomeno alimenta un circolo vizioso in cui la povertà economica si traduce in povertà sanitaria, con effetti cumulativi sulla salute individuale e collettiva. Inoltre, scegliere di rivolgersi a strutture meno costose può comportare un accesso a servizi di qualità inferiore o tempi d’attesa più lunghi, aggravando così le disuguaglianze”.

Secondo gli ultimi dati Istat, quasi il 10% della popolazione rinuncia alle cure. Nel 2024, il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste d’attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie. Si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%), 1 milione e 300 mila in più in un anno. La ragione principale sono le lunghe liste d’attesa.

I dati sulla povertà sanitaria diffusi dal Banco Farmaceutico, commenta Federconsumatori, sono “a dir poco allarmanti” e si aggiungono alla lunga lista di indicatori che segnalano le difficoltà delle famiglie, con le rinunce in campo alimentare e sanitario e con l’aumento della povertà energetica.

Tutto questo con un Servizio sanitario nazionale che arranca. Dall’ultimo report di Federconsumatori e Isscon sui tempi d’attesa nelle strutture sanitarie emergevano picchi di attesa di oltre 700 giorni, ricorda l’associazione. Sono a rischio l’accesso alle cure e il diritto alla salute.

L’accesso alle cure, per 4,5 milioni di cittadini italiani, risulta compromesso e il ricorso al settore privato sta crescendo, aggravando ulteriormente il divario tra chi può permettersi cure rapide e chi è costretto a subire lunghe attese o la rinuncia.

Le regioni in cui, per diversi motivi (risorse disponibili, invecchiamento della popolazione, presenza di un grande contesto metropolitano), la spesa sanitaria mensile pro capite è più elevata (Valle d’Aosta, Liguria e Lazio), sono anche quelle in cui il gap di spesa tra poveri e non poveri è più alto (tra i 70 e gli 85 euro). Un gap leggermente più ridotto (60-70 euro) si ritrova in Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Sicilia, dove la spesa sanitaria è lievemente più bassa.

L’aumento della spesa mensile pro capite non garantisce necessariamente maggior equità: al contrario, può accentuare le disuguaglianze se l’accesso ai servizi resta legato in modo rilevante alla capacità di spesa.

Bruno Albertinelli