Il 4 dicembre, mentre l’Italia scorre verso il freddo di dicembre, in alcune città si respira un’atmosfera unica: quella della festa di Santa Barbara, patrona dei minatori, dei vigili del fuoco, degli artiglieri, dei marinai. Una figura antica, che profuma d’incenso e di polvere da sparo, di roccia bagnata e sirene spiegate. Una festa religiosa, certo, ma soprattutto culturale, profondamente intrecciata alla vita degli uomini che, da secoli, sfidano il rischio ogni giorno.
La ricorrenza di Santa Barbara, Patrona dei Vigili del Fuoco, tornerà a riunire istituzioni, Corpo e comunità mercoledì 4 dicembre nella caserma “Erik Mortara” di Aosta. A partire dalle 10.30 si aprirà una mattinata di celebrazione che, come ogni anno, vuole rendere omaggio a chi dedica la propria vita alla sicurezza degli altri.
La cerimonia inizierà con la deposizione di una corona d’alloro al Monumento ai Caduti, accompagnata da un picchetto d’onore dei Vigili del Fuoco. Seguirà la benedizione e la Messa officiata da Don Giuliano Reboulaz, momento centrale di raccoglimento e memoria.
A prendere la parola, nel corso degli interventi istituzionali, saranno il Presidente della Regione Renzo Testolin e il Comandante del Corpo valdostano dei Vigili del Fuoco, Stefano Perri. Un passaggio particolarmente sentito sarà dedicato alla consegna degli attestati al personale andato in pensione nel 2025: Ottavio Bianquin, Danilo Bionaz, Salvatore Coriale e Alfio Torrisi, quattro figure che hanno segnato anni di servizio e presenza sul territorio.
“La nostra comunità si raccoglie attorno a una tradizione che affonda le radici nei valori più autentici,” afferma il Presidente Testolin, ricordando il significato profondo della giornata. “Non è soltanto una ricorrenza religiosa, ma un momento di riconoscenza verso coloro che, ogni giorno, affrontano il rischio per garantire la sicurezza di tutti.”
Testolin sottolinea poi il ruolo sociale del Corpo valdostano: “La figura del Vigile del Fuoco è da sempre legata alla solidarietà e al senso di servizio. La Festa di Santa Barbara diventa occasione per rinnovare questo legame, per ricordare che dietro ogni intervento c’è una storia di dedizione e professionalità.”
La leggenda: una torre, un rifiuto e una scelta radicale
Barbara sarebbe vissuta nel III secolo, figlia di Dioscoro, un ricco uomo d’armi dell’Asia Minore. La leggenda racconta che, per custodirne la bellezza – o per controllarne la libertà – il padre la rinchiuse in una torre. In quella solitudine Barbara maturò la sua scelta cristiana. Quando Dioscoro la scoprì, non reagì come un padre, ma come un padrone ferito: la denunciò al governatore, che la fece torturare. La finì lo stesso padre, armato di spada. Ma, subito dopo, la tradizione dice che un fulmine lo incenerì. La gente, colpita da quella fine improvvisa, iniziò a pregare Barbara contro i pericoli del fuoco e del fulmine. Da lì, l’origine di una devozione che ancora oggi vibra.
Il culto di Santa Barbara si propagò velocemente nel Medioevo: nelle chiese rupestri dei monaci, negli altari dei castelli e nei porti mediterranei. Quando l’uomo iniziò a dominare il fuoco – quello delle prime miniere, poi quello della polvere da sparo – la figura di Barbara divenne più che un riferimento spirituale: un simbolo di protezione.
Per i minatori, inghiottiti per ore nel ventre della terra, affidarsi a lei era un modo di restare legati alla luce. Nelle gallerie circolava una fede concreta, fatta di piccole immagini infilate nelle tasche, di cappelle scavate direttamente nella roccia, di feste improvvisate nelle baracche a fine turno.
I vigili del fuoco l’hanno adottata da tempo immemorabile: chi si arrampica su una scala tra fumo e calcinacci non ama i discorsi astratti. Porta simboli. Ricordi. Promesse. È un lavoro che sa di famiglia, di coraggio e comunità. Santa Barbara, per loro, è il nome da mormorare quando il tempo si dilata e i secondi bruciano come ore.
Il 4 dicembre, nei paesi con tradizione mineraria o nei corpi dei vigili del fuoco, si celebra una messa, si benedicono i mezzi e, soprattutto, si condividono ricordi. Nei discorsi non c’è retorica: c’è memoria. È il racconto di incidenti sfiorati, di amici persi, di famiglie che non hanno mai smesso di aspettare il rientro del turno di notte. È la consapevolezza che alcune professioni non invecchiano: modernissime nelle tecnologie, antichissime nel rischio.
La festa è religiosa, certo, ma è anche profondamente laica: è un rito civile di gratitudine verso chi entra nel buio per gli altri. È un riconoscimento collettivo, più antico di qualsiasi decreto e più sincero di una targa.
La devozione a Santa Barbara non è nostalgia. È identità. È cultura. È il filo che lega generazioni di lavoratori a un patrimonio umano fatto di fatica, paura, risate, turni massacranti e ritorni all’alba. Una tradizione sopravvive quando continua a raccontare qualcosa di vero su di noi. E Santa Barbara ci ricorda questo: che la comunità esiste davvero nei momenti in cui qualcuno entra nel fuoco o nella terra, e un altro resta ad aspettare.
Un giorno all’anno per ricordarlo. Gli altri, per metterlo in pratica. Perché alcune storie non si leggono nei libri: vengono impresse nella pelle, nel casco, nelle mani annerite. E nelle torri che cerchiamo ancora di abbattere, dentro e fuori di noi.