ATTUALITÀ - 02 dicembre 2025, 12:00

Finirà che il sacchetto nero dell'immondizia ci seppellirà

Abbiamo il gene della ribellione nel DNA: se ci dicono di non parcheggiare in doppia fila, parcheggiamo in tripla; se ci dicono di differenziare, noi buttiamo tutto nel primo cassonetto che capita perché «tanto poi la mescolano comunque»

La foto è una delle tante che compaiono da mesi sui vari gruppi di FB questa e stata scattata a Derby La Salle ma ne potete trovare a decine in tantissimi comuni

Signore e signori, benvenuti nel Paese dove abbiamo inventato il Rinascimento, la pizza margherita e il caffè perfetto, ma dove nessuno — dico nessuno — sa più dove buttare un sacchetto dell'immondizia. Siamo la patria di Michelangelo e Leonardo, ma davanti a un cassonetto ci trasformiamo in primati confusi che guardano un monolito nero sperando che scenda una voce dall'alto a dirci: «Figliolo, il tetrapak va nel cartone».

E invece no: finirà che dovremo chiedere a ChatGPT dove buttare la carta stagnola unta di lasagne, perché ormai serve una laurea in ingegneria ambientale per fare la raccolta differenziata. Ma il vero capolavoro italiano non è la Cappella Sistina, no: è la creatività con cui abbandoniamo divani nei boschi. Perché portarlo all’isola ecologica quando puoi scaricarlo in una piazzola panoramica?

Così almeno i turisti possono fotografare le nostre montagne con in primo piano un materasso sfondato e due sedie impagliate. Instagram ringrazia. E poi ci lamentiamo che non ci rispettano all’estero, ma loro mica hanno i cassonetti che sembrano Pompei dopo l’eruzione, con i sacchetti che traboccano come lava di plastica e cartone. Noi sì, perché siamo speciali.

Abbiamo il gene della ribellione nel DNA: se ci dicono di non parcheggiare in doppia fila, parcheggiamo in tripla; se ci dicono di differenziare, noi buttiamo tutto nel primo cassonetto che capita perché «tanto poi la mescolano comunque».

Certo, multateli questi cafoni, direte voi. Ma le multe non bastano: metà non le paga e l’altra metà fa ricorso fino al 2087. No, la soluzione è una sola: lavori socialmente utili. Hai buttato il frigorifero nel torrente? Benissimo: per un mese, tutti i sabati, vai a ripulire le piazzole. Hai abbandonato tre buste di immondizia vicino al cassonetto perché “tanto è uguale”? Perfetto: cinque domeniche a raccogliere mozziconi e lattine. E se sei un ultras che sporca lo stadio? Daspo di un anno. Vedrai come diventi civile quando ti tocca guardare la partita al bar, circondato da gente che mastica patatine in stereo.

Poi certo, c’è il problema del sistema. Perché diciamocelo: quando, per buttare un tubetto di dentifricio, devi consultare tre app, leggere un manuale di 47 pagine e chiamare il Comune per chiedere se il tappo va separato dal tubetto, qualcosa non funziona.

E mentre noi ci arrovelliamo su dove mettere la carta oleata della pizza, continuiamo a girare con auto che inquinano più di un inceneritore. Ma va bene così, perché l’importante è sentirsi ecologisti rifiutando il termovalorizzatore.

Intanto produciamo 13.000 tonnellate di indifferenziata all’anno solo in Valle d’Aosta — che, tradotto in termini comprensibili, significa venti piscine olimpioniche piene di sacchi neri o un grattacielo di quindici piani fatto interamente di spazzatura compressa.
(Dite che è un dato sbagliato e esagerato? Bene: provate a fare un calcolo voi.)

Ma niente: meglio mandare tutto all’estero, a costi stellari, o seppellirlo da qualche parte dove non lo vediamo, così possiamo continuare a sentirci moralmente superiori.

E allora cosa facciamo? Continuiamo a litigare tra chi vuole l’inceneritore e chi no, tra chi sogna rifiuti zero e chi vuole solo che qualcuno gli tolga dai piedi quella busta che puzza? Oppure usiamo il buon senso — quella cosa antica che ci ha permesso di sopravvivere per secoli, prima che arrivassero gli influencer a spiegarci come salvare il pianeta mentre volano in jet privato?

Forse la verità è semplice: recuperiamo quello che si può recuperare, bruciamo quello che va bruciato, smettiamola di complicare la vita al cittadino con regole assurde e, soprattutto, educhiamo la gente a non comportarsi come se tutto ciò che sta fuori dalla porta di casa fosse la discarica personale.

Perché se dobbiamo arrivare al punto di chiedere all’intelligenza artificiale dove buttare l’immondizia, allora forse il problema non è la spazzatura: siamo noi.

E per ultimo, facciamo la cosa più intelligente del mondo: evitiamo di produrre rifiuti alla fonte. Facciamo meno imballaggi e, se proprio li dobbiamo fare, facciamoli riciclabili o totalmente biodegradabili.

Vittore Lume-Rezoli