L’imponibile relativo all’imposta sugli intrattenimenti – semplificando all’estremo – corrisponde al 10% di quanto la gestione incassa al netto della quota che il gestore, pubblico o privato che sia, versa all’ente titolare della licenza. Facciamo un esempio numerico: se i ricavi annui sui quali il gestore corrisponde alla proprietà il dovuto previsto dal contratto di concessione ammontano a 10.000 euro e la percentuale stabilita è del 25%, ne deriva che l’I.S.I. sarà pari a 750 euro, ovvero il 10% dei 7.500 euro risultanti dalla differenza tra i ricavi (10.000) e la quota trasferita all’ente pubblico (2.500).
L’imposta, salvo errore, va versata entro marzo dell’anno successivo, ma questo dettaglio incide poco sul ragionamento generale. Se invece del tradizionale bilancio si procedesse, soprattutto nel caso di una gestione pubblica, a una situazione contabile trimestrale o semestrale, l’imposta sarebbe verosimilmente più contenuta, grazie a previsioni più realistiche e modellate sul ritmo dell’attività. A ciò si aggiunge un altro elemento: l’incremento percentuale della quota che il gestore versa può generare, seppur in misura ridotta, un ulteriore risparmio per il proprietario della casa da gioco.
Si tratta, in sostanza, di una motivazione che può sostenere scelte fondate sull’andamento dei ricavi registrati prima della chiusura e sulla successiva situazione contabile dell’anno solare.
Quanto alla gestione in concessione a una società privata, è ipotizzabile una tassa di concessione più elevata, considerata la destinazione dell’utile d’esercizio. Tuttavia, non si può ignorare che anche una gestione pubblica possa generare utili – questione che meriterebbe un’analisi a parte.
In estrema sintesi, la possibilità di affidare la gestione in concessione al privato riporta l’attenzione su alcune considerazioni note ma sempre attuali. Dall’esperienza maturata nei due modelli di gestione emergono esigenze che oggi sembrano finalmente prese in seria considerazione, anche se forse solo in parte: professionalità, competenza e una esperienza specifica realmente verificabile.
Non tanto per una presunta superiorità dell’investitore privato – che pure può permettersi una gestione dai contorni più flessibili – quanto per una maggiore propensione al rischio, qualità indispensabile in un settore che vive di oscillazioni rapide e che richiede reattività. È una caratteristica non sempre reperibile dove può prevalere il criterio dell’appartenenza rispetto a quello della competenza.
Probabilmente i tempi attuali suggeriscono di accogliere alcune delle idee appena accennate. La diversificazione dell’offerta, la possibilità per il personale di dimostrare reale competenza, la qualità del servizio ai tavoli – elemento decisivo per i giocatori più esigenti – sono fattori centrali in un contesto in cui l’attrattività assume un peso crescente.
Ragiono spesso sull’incidenza dei ricavi delle slot rispetto al totale, perché la considero un indicatore importante della qualità del gioco. E qualità significa rilevanza dei giochi da tavolo e delle mance che ne derivano. Questo tema, che non approfondisco qui, incide anche sul costo del personale e, di riflesso, sulle prospettive occupazionali. È un argomento vasto e affascinante, su cui tornerò: merita un’analisi più ampia e approfondita.