ECONOMIA - 07 novembre 2025, 17:06

Il Paese di Meloni: nel 2024 il 9,9% degli italiani ha rinunciato alle cure

Secondo l’Istat, quasi 6 milioni di persone nel 2024 non si sono curate per liste d’attesa, costi o difficoltà di accesso. Codici parla di “collasso del sistema sanitario”. E intanto, il diritto alla salute garantito dalla Costituzione sembra diventato un lusso

Foto Cittadinanzattiva

C’è un’Italia che non si cura più. Non perché non voglia, ma perché non può. È l’Italia descritta dai dati Istat relativi al 2024: 5,8 milioni di cittadini, il 9,9% della popolazione, hanno rinunciato alle cure. Un milione e trecentomila persone in più rispetto all’anno precedente.
Dietro questi numeri non ci sono statistiche fredde, ma storie di diagnosi mancate, visite rimandate, malattie che peggiorano. È il racconto amaro di un Paese che ha smesso di garantire la salute come diritto universale, e che sotto il governo Meloni sembra essersi rassegnato a un modello sanitario sempre più diseguale.

Non si tratta di una crisi temporanea, ma del collasso di un sistema sanitario che sta tradendo la sua missione fondamentale”, ha denunciato Ivano Giacomelli, segretario nazionale dell’associazione Codici. “Quando il 6,8% della popolazione dichiara di non potersi curare a causa delle liste d’attesa, non parliamo di inefficienze burocratiche, ma di sofferenze evitabili che diventano croniche”.
Parole pesanti, che trovano riscontro nella realtà quotidiana di milioni di italiani. Liste d’attesa infinite, ticket sempre più cari, medici di base introvabili e ospedali pubblici al collasso: questa è oggi la fotografia del Servizio sanitario nazionale.

L’articolo 32 della Costituzione garantisce il diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Ma di fronte a un 10% di cittadini costretti a rinunciare alle cure, quel principio appare ormai solo una frase scolpita sulla carta.

Le donne e gli anziani pagano il prezzo più alto. Secondo l’Istat, il 7,7% delle donne ha dovuto rinunciare a curarsi; la percentuale sale al 9,2% nella fascia 45-64 anni e tra gli over 65. “È un’ingiustizia dentro l’ingiustizia – commenta ancora Giacomelli –. Questa non è solo malasanità: è una forma di discriminazione per età e genere mascherata da tempi tecnici.”

La situazione non migliora nemmeno sul piano geografico: nessuna regione è risparmiata. Dal Nord al Sud, la rinuncia alle cure è ormai un fenomeno nazionale. Il divario tra sanità pubblica e privata cresce, e la salute rischia di diventare un privilegio di classe, accessibile solo a chi può permettersela.

Intanto il governo continua a parlare di “tagli mirati”, “spesa efficiente” e “autonomia differenziata”, mentre sul territorio chiudono reparti, mancano medici e gli ambulatori pubblici diventano miraggi.
Eppure, basterebbe guardare ai dati Istat per capire che non siamo di fronte a una questione contabile, ma a una questione di dignità civile e politica.

“Ogni giorno di attesa può significare la differenza tra una diagnosi precoce e una malattia in stato avanzato”, ricorda ancora Codici, che con la campagna Indigniamoci! raccoglie le segnalazioni di cittadini esasperati da ritardi e disservizi.

La verità è che la sanità pubblica italiana sta implodendo sotto il peso dell’indifferenza politica.
Nel “Paese di Meloni”, dove il diritto alla salute si misura in giorni d’attesa e la cura dipende dal reddito, la promessa di “non lasciare indietro nessuno” è rimasta slogan da campagna elettorale.

E mentre milioni di italiani aspettano una visita che non arriva mai, l’unico farmaco disponibile sembra essere la rassegnazione.

pi/red