Sarà lungo 3.666 metri, con una campata centrale di 3.300: il Ponte sullo Stretto di Messina, nella visione grandiosa del governo Meloni, dovrebbe collegare Sicilia e Calabria con un unico salto d’acciaio, sospeso tra mito e propaganda. L’impalcato — largo 60,4 metri, cioè più di un campo da calcio — poggerà su due torri alte 399 metri, quanto un grattacielo di New York. Le coppie di cavi che lo sosterranno misureranno 5.320 metri, con un diametro di 1,26 metri, ancorati a blocchi di cemento grandi come quartieri interi: 533 mila metri quadrati di pura ambizione.
Sulla carta, il ponte sarà un colosso efficiente e instancabile: 6.000 veicoli l’ora, 200 treni al giorno, operativo 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Il canale centrale, alto 65 metri, permetterà il passaggio delle grandi navi, mentre tutto intorno si svilupperanno altri 40 chilometri di collegamenti stradali e ferroviari. Un sogno da ingegneri, un incubo per chi ha ancora il senso delle proporzioni.
Già, perché se le misure impressionano, le previsioni fanno sorridere. Secondo uno studio di Tplan Consulting allegato al Piano economico-finanziario, il traffico crescerà dell’1% all’anno fino al 2062. Tradotto: dopo trent’anni, un aumento complessivo del 30%. E per giustificare un’opera da decine di miliardi, si punta tutto su quel misero punto percentuale di crescita. È come costruire un’autostrada a sei corsie per un paesino di montagna e poi vantarsi del “potenziale futuro”.
La realtà, però, è meno epica: il ponte collegherà due regioni che faticano ancora a collegare i propri treni e le proprie strade, con linee ferroviarie lente, stazioni fatiscenti e servizi pubblici precari. Prima ancora di unire le sponde, bisognerebbe unire la logica.
E poi resta la grande domanda: chi lo userà davvero, questo ponte? I pendolari che aspettano treni soppressi da Trenitalia? Le merci che oggi preferiscono il mare per costi e sicurezza? O i turisti che scattano selfie sul cantiere infinito?
Sospeso tra cielo, mare e promesse elettorali, il Ponte sullo Stretto rischia di diventare la più grande opera d’arte contemporanea italiana: un monumento alla sproporzione, alla megalomania e all’eterna illusione che basti costruire qualcosa di enorme per sentirsi grandi.
Per ora, i numeri sono già record. Ma di concreto, sotto, c’è ancora solo l’acqua.