Alla fine, anche ieri sera, dal camino dell’Union Valdôtaine non è uscita nessuna fumata bianca. Solo un denso fumo di incertezza politica, che continua ad avvolgere il futuro della Regione. Al Comité e al Conseil Fédéral il dibattito è stato intenso, ma il risultato resta sospeso: la futura maggioranza regionale è ancora tutta da costruire.
Eppure, un segnale positivo c’è. La base unionista, spesso impaziente e rumorosa, questa volta ha riconosciuto al Comité un merito: metodo e trasparenza. In un panorama dove la politica locale tende a essere più un gioco di carte coperte che di mani aperte, non è poco.
Come direbbe un vecchio saggio: “La trasparenza è la più sottile delle strategie: mostrare per non dover spiegare.”
L’obiettivo dichiarato era quello di costruire una maggioranza tutta autonomista, un ritorno alle origini, un segnale identitario. Ma, come nei migliori romanzi di fantapolitica valdostana, il sogno si è scontrato con la realtà: il castello autonomista si è rivelato un castello di sabbia.
Troppo composito, troppo fragile, troppo affollato di personalità e di personalismi. Il Centro Autonomista — o, per gli amici, ADC — si presenta come un mosaico di sigle e sensibilità: Pour l’Autonomie, Rassemblement Valdôtain, Stella Alpina e la corrente “nazionale” di Azione, che però nel simbolo delle regionali non compare nemmeno. Insomma, un’unione più da cartellone elettorale che da comunità politica.
“La somma delle parti non fa una squadra, se le parti giocano da sole.”
E infatti, riunione dopo riunione, la delegazione di ADC cresce di numero come una tavolata di nozze improvvisata: ognuno vuole un posto, ognuno vuole contare, e il dialogo si trasforma in un concerto stonato.
In tutto questo, un nome torna a galla più spesso di altri: Marco Carrel, assessore uscenente. Per molti unionisti è diventato il simbolo della diffidenza verso un’alleanza a 19 seggi. L’astensione sul piano vaccinale delle bovine e il mancato accordo pre-elettorale — che avrebbe potuto garantire il premio di maggioranza e una solida maggioranza da 21 — pesano come macigni.
La base lo considera un interlocutore poco affidabile, e non solo per le scelte recenti: si teme che in una coalizione così fragile, basti un voto storto per far cadere tutto. E in politica, soprattutto in Valle, le cadute non sono mai eleganti.
“È facile restare in piedi quando non si ha il coraggio di camminare.”
Forse, la vera notizia è che la base unionista si mostra più realista e matura dei propri dirigenti.
Non vuole un’alleanza “di bandiere”, ma una maggioranza solida, duratura, capace di governare senza vivere di emergenze. E per questo ha dato mandato chiaro al Presidente e al Comité: negoziare una coalizione più ampia, anche a costo di guardare oltre l’area autonomista.
Una scelta che può far storcere il naso ai puristi, ma che nasce da un ragionamento pragmatico: meglio un governo stabile con Pd o Forza Italia, che un esperimento autonomista già destinato alla crisi.
Ora la scena si sposta su Renzo Testolin, il presidente uscente e incaricato, che dovrà capire se e come sondare nuovi alleati.
Una partita delicata, fatta di numeri, ma anche di sensibilità e di equilibri personali.
L’Union, in fondo, è abituata ai compromessi. Ma questa volta serve un compromesso alto, non un pasticcio politico, magari con Pd e Forza Italia. Perché — come direbbe Voltaire, se fosse valdostano —
“L’autonomia non si difende con i proclami, ma con i governi che funzionano.”
Per ora resta la fumata nera, ma la sensazione è che la vera partita debba ancora cominciare.
Dietro i sorrisi e le formule diplomatiche, c’è la consapevolezza che nessuno può governare da solo.
E che, forse, questa fumata nera è il preludio di una chiarezza necessaria.
O come recita un vecchio aforisma politico:
“Meglio una notte lunga che un’alba sbagliata.”