Mentre sui giornali e sui social impazza la querelle sul limite dei mandati — tre, quattro, forse cinque o sei? — c’è chi, ridacchiando, suggerisce che presto potrebbero rientrare tra i “diritti acquisiti”. Qualcun altro, con sarcasmo, propone un referendum per il ritorno alla monarchia: almeno si risparmierebbero i soldi delle elezioni ogni cinque anni.
E poi c’è Mario, il mio amico, che si chiede se la carica non possa diventare ereditaria. Immagina già la scena: padre e figlio affacciati su un balcone, come nel Re Leone.
“Figliolo, tutto ciò che vedi, un giorno sarà tuo.”
Battute a parte, una cosa è certa: nei prossimi anni vedremo autonomisti, centristi, moderati e opposizioni cavalcare l’onda del “Dobbiamo difendere i nostri valori, la nostra cultura.”
E, come sempre, convegni e manifestazioni sulla montagna, sull’abbandono dei piccoli comuni, sul perché lasciare la montagna sia un danno per tutti, torneranno a riempire le agende.
Vuoi mettere un bel convegno con rinfresco, dove ci si interroga — con aria grave — sul perché la gente fugga dalla montagna?
Come dice Mario: fa fine e non impegna.
Peccato solo che chi legifera — ovvero i politici — sappia benissimo come stanno le cose. Ma parlarne è facile. Affrontare davvero il problema, e magari risolverlo, è tutta un’altra storia.
Oggi, inutile dirlo, il nostro Paese — come molti in Europa — soffre di una grave crisi economico-finanziaria. Non è una novità: l’ISTAT conferma ciò che, bene o male, viene evidenziato da numerosi osservatori economici.
La crisi morde, il costo della vita aumenta, ma i salari sono fermi da anni.
Noi, come associazione consumatori, vediamo sempre più persone arrivare presso i nostri uffici per chiedere aiuto nei casi più disparati: spese condominiali esorbitanti, bollette che diventano un vero incubo ogni volta che si apre la cassetta delle lettere.
E non si tratta più solo delle fasce deboli, come i pensionati, ma anche di lavoratori che, pur avendo uno stipendio, non riescono più a far quadrare i conti e a far fronte a tutte le spese.
Sempre più famiglie vivono con l’incubo dell’imprevisto: un guasto all’auto, una tubatura rotta, un dente cariato da curare, lo zainetto per il figlio che va a scuola.
Come ci ha detto una nostra assistita: “Prendo le pastiglie per dormire e non pensare.”
Ormai lo sappiamo: appena entra un cittadino, la domanda d’obbligo è la classica “Lei ha l’ISEE?”.
È diventato un documento che il cittadino deve portare sempre con sé. Dai bonus agli aiuti economici, è ormai una sorta di lasciapassare, un attestato che certifica se hai diritto ai tuoi diritti.
Scusate il gioco di parole, ma è così.
La sanità, per cui paghi, non è più un diritto garantito, ma è vincolata all’ISEE. Le cure odontoiatriche, ad esempio, sono gratuite solo se si ha un ISEE inferiore a 10.000 euro: un solo euro in più e si è fuori, costretti a pagare tutto. Nessuno scaglione previsto: o tutto o niente.
Una delle battaglie che, come AVCU, stiamo portando avanti è proprio quella di introdurre almeno tre scaglioni di aiuti, affinché il sistema sia progressivo.
Invece no: i bonus oggi esistono, ma spesso non sono cumulabili, e troppo spesso la gente non sa nemmeno che esistono, quindi non fa domanda.
Come diciamo spesso, il criterio con cui viene determinato l’ISEE genera, a nostro parere, delle “discriminazioni” — o, se vogliamo, delle incongruenze.
È il caso dei mutui: tutti sappiamo che sono uno dei parametri considerati nel calcolo dell’ISEE. Peccato però che il mutuo bancario venga preso in considerazione se si acquista o si ristruttura la prima casa, ma non se si ristruttura, ad esempio, una casa di famiglia ereditata.
Quella casa ti costa, perché è considerata una ricchezza, ma non puoi detrarre il mutuo bancario che hai acceso per risistemarla e non farla cadere.
Anche perché, per l’Agenzia delle Entrate, è una ricchezza su cui gravano tasse.
In Valle d’Aosta, secondo dati catastali e territoriali, circa il 30–40% degli immobili ricade in aree classificate come rurali o montane: fabbricati agricoli (stalle, fienili, depositi), case coloniche, baite, immobili strumentali all’attività agricola.
Analizzando questi numeri, diventa evidente che l’abbandono del territorio nei piccoli comuni è legato anche al costo della ristrutturazione.
Molti affrontano volentieri questa spesa pur di non veder crollare la casa di famiglia. Ma se a questo costo aggiungiamo la penalizzazione del mutuo bancario — che non è detraibile perché l’immobile non è la prima casa — ecco che diventa difficile investire per salvare un patrimonio che, in molti casi, non è solo personale, ma collettivo.
Pensiamo a tutti i fabbricati abbandonati sul territorio che potrebbero invece diventare una risorsa.
La teoria della finestra rotta afferma che, se in un edificio c’è una finestra rotta e nessuno la ripara, presto tutte le altre verranno rotte. Lo stesso principio vale per un villaggio, per un comune: se lasciamo cadere una casa, piano piano il paese muore.
La salvezza di una sola casa può salvare una comunità.
Ma l’ISEE, nel suo calcolo, considera solo l’individuo, non l’impatto economico e sociale. E così, non inserendo come detrazione l’investimento bancario per tutelare e salvare un bene individuale, si finisce per ledere un vantaggio collettivo.