Ve lo ricordate Good Morning, Vietnam con il mitico Robin Williams? Oppure Apocalypse Now, Forrest Gump o Nato il quattro luglio con Tom Cruise? In comune hanno tutti il tema della guerra del Vietnam. Potrei citare decine di altri film che affrontarono quella tragedia, chi in modo romanzato e di parte, chi invece in maniera cruda e violenta, esasperando le atrocità compiute da entrambe le parti.
Sappiamo bene che la guerra del Vietnam nacque da una menzogna del governo americano. Ma non voglio fare una commemorazione cinematografica: più semplicemente, questi ricordi mi riportano a tanti anni fa, quando, sull’onda emotiva di quelle immagini, nacquero i movimenti pacifisti che il mondo intero imparò a conoscere.
Le prime proteste iniziarono nel 1964, con studenti e attivisti che bruciavano le cartoline-precetto per opporsi alla leva obbligatoria. Il movimento, trasversale, coinvolse studenti, operai, giovani e anziani. Il 1967 fu l’anno del Vietnam anche in Italia, con fiaccolate, assemblee studentesche, roghi di bandiere americane e slogan come “Yankee go home”.
Bruce Springsteen, John Lennon, Joan Baez, Bob Dylan diedero vita a canzoni memorabili contro la guerra. In Italia furono Franca Rame e Dario Fo a dedicare anni alla lotta contro le violenze. Era un mondo variopinto, senza confini né ideologie, ma anche allora la repressione fu violenta: centinaia di persone uccise negli scontri con la polizia. Non solo il governo americano, ma molti governi tentarono di soffocare quelle manifestazioni con violenza, mistificazione e manipolazione delle notizie.
Decine di casi dimostrarono come polizia e servizi segreti deviati creassero incidenti ad arte, per dare pretesto alla repressione. Bastava sventolare una bandiera della pace per diventare un bersaglio: giovane o vecchio che fossi, eri da manganellare, inseguire, persino dentro i portoni. Anche inerme, a terra o con le mani alzate, la violenza proseguiva. Non era più tutela dell’ordine pubblico, ma un cieco desiderio di infierire.
Sono passati 58 anni e in questi giorni rivivo le stesse emozioni, vedendo sventolare le bandiere della Palestina, vedendo folle intere che riempiono le piazze del mondo. Giovani e anziani fianco a fianco, a chiedere pace, a urlare “basta morti”. Piazze, università, fabbriche, medici e infermieri davanti agli ospedali a dire “fermate il genocidio”.
La chiamano “Gaza Freedom Flotilla”: una flotta di navi e barche a vela partita da porti del Mediterraneo – Spagna, Francia, Turchia, Grecia, Italia – per portare aiuti a Gaza e rompere il silenzio complice di governi e media. Qui non si tratta di due eserciti che si affrontano, ma di un esercito che deliberatamente bombarda e uccide civili per strada, negli ospedali, nelle scuole.
Sono bastati pochi giorni di navigazione e i resoconti dal mare perché finalmente i riflettori dei media e della politica si accendessero. Immagini terrificanti hanno invaso giornali, televisioni e social. L’ondata pacifista è rinata: studenti e operai di nuovo in piazza, fiaccolate, cortei, università e fabbriche che ritrovano uno spirito umanistico che pareva sepolto sotto la cenere.
Ma anche oggi, come allora, il potere tenta di reprimere. Politica e stampa manipolano e falsificano. Sui social, accanto alla voglia di pace, spuntano i troll: disagiati, analfabeti funzionali che sputano veleno. Un breve giro su Facebook o sulle testate che riportano gli attacchi israeliani alle barche – e le palesi violazioni del diritto di navigazione – basta per leggere commenti agghiaccianti.
Ecco alcuni esempi: Lia V. scrive “tutti ridicoli”; Piero A. commenta solo “Randagi”; Marco F. aggiunge “i soliti 4 nullafacenti della Cgil e del Pd”; Stefano D. liquida tutto con “Che scemenze”; Alex P. esordisce con un umanissimo “Pensate ai problemi di casa nostra anziché fare i Don Chisciotte”.
La cosa più sorprendente non sono tanto i casi disperati, “incommentabili”, quanto quelli che oggi chiedono ai sindacati di scioperare per i posti di lavoro ma non per la Palestina. Peccato che, quando i sindacati scesero in piazza per la Cogne Acciai, davanti ai cancelli ci fossero a malapena cento persone. Oggi sui social la frase ricorrente è: “I sindacati pensano solo ai loro stipendi, i sindacati non fanno nulla”. Peccato che, quando il sindacato chiama, molti restino a casa.
Lo stesso è successo con la protesta delle “pentole vuote” contro il caro vita e gli aumenti vergognosi dei prezzi: sotto Palazzo regionale c’erano solo quaranta persone. Però sui social fa comodo lamentarsi. Se scioperi, crei disagi; se non lo fai, sei venduto al potere. Se lo organizzi di lunedì, ti accusano di bloccare il traffico; se lo fai di venerdì, dicono che vuoi farti il ponte lungo.
Morale della favola: aveva ragione Antoine quando cantava, “Qualunque cosa fai, tu sempre pietre in faccia prenderai”.