Informazioni pratiche - 30 settembre 2025, 12:51

Spreco alimentare, Italia: vale 555 grammi settimanali a testa

L’Italia migliora sullo spreco alimentare, ma rimane in media più “sprecona” rispetto ad altri Paesi europei. Secondo le rilevazioni Waste Watcher, in Italia c’è uno spreco settimanale medio pro capite di 555,8 grammi di cibo, contro i 512,9 g settimanali della Germania, 459,9 g per la Francia, 446,5 g per la Spagna e 469,5 g per i Paesi Bassi

A dieci anni dall’approvazione dell’Agenda Onu 2030 e a nove anni dalla legge Gadda contro lo spreco di cibo, l’Italia migliora, ma non abbastanza: dal 2015 a oggi lo spreco alimentare settimanale è sceso di 95 grammi (prima era infatti di 650 g). Aumenta fra gli italiani la consapevolezza del legame tra spreco di cibo e ambiente, ma il traguardo fissato fra cinque anni, di arrivare a 369,7 g settimanali, è ancora lontano.

Il nuovo rapporto Waste Watcher è stato presentato nei giorni scorsi in occasione della Giornata contro perdite e sprechi alimentari. Ha monitorato il comportamento degli italiani nel mese di agosto 2025, attraverso l’indagine con metodo CAWI promossa dalla campagna pubblica Spreco Zero con l’Università di Bologna – Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari, su monitoraggio Ipsos, su un campione di 1.000 casi rappresentativi della popolazione generale.

Lo spreco alimentare settimanale medio in Italia risulta pari a 555,8 grammi questa estate, contro i 683 grammi di agosto 2024.

Lo spreco alimentare scende in modo significativo nell’area centrale del Paese, diventata la più virtuosa con “soli” 490,6 grammi. A nord si sprecano mediamente 515,2 grammi di cibo ogni sette giorni, mentre al sud il dato si impenna con 628,6 grammi a settimana.

Risultano più virtuose le famiglie con figli, che abbassano la soglia di spreco del 17% rispetto alle famiglie senza figli (+14%), e più virtuosi i grandi comuni (-9%) rispetto a quelli medi (+16%).

Ai primi posti tra i cibi sprecati ci sono la frutta fresca (22,9 g), la verdura fresca (21,5 g) e il pane (19,5 g); seguono l’insalata (18,4 g) e cipolle/tuberi (16,9 g).

Lo spreco alimentare nel mondo vale circa 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, pari a un terzo della produzione alimentare globale. Di questo 33%, il 19% del cibo viene sprecato a livello di vendita al dettaglio, ristorazione e famiglie, mentre il 13–14% nella fase di produzione e raccolta.

Lo spreco di cibo è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra. Il 28% dei terreni agricoli, pari a 1,4 miliardi di ettari, viene utilizzato per produrre cibo che non verrà mai mangiato.

Questo è il contesto mondiale di un fenomeno grande e con forti ripercussioni sociali, economiche, etiche e ambientali. Per i promotori dello studio è urgente tracciare un bilancio sugli obiettivi di sostenibilità che il mondo si è dato per il 2030, in particolare in relazione al target che chiede di dimezzare lo spreco alimentare entro quella data.

In questo scenario mondiale, Waste Watcher afferma che “l’Europa, con Direttiva approvata dal Parlamento Europeo il 9 settembre 2025, ha abbassato l’asticella dei suoi obiettivi di riduzione: mentre l’Obiettivo 12.3 dell’Agenda ONU 2030 chiede di dimezzare (−50%) le perdite e gli sprechi alimentari entro il 2030, in tutti i segmenti della filiera, l’Europa adesso, con una drastica revisione della Direttiva 2008/98/EC - Waste Framework Directive, si ‘accontenta’ di fissare −10% nello spreco della trasformazione/manifattura e −30% pro capite nei consumi finali (retail, ristorazione, famiglie), sostanzialmente ‘tagliando’ il concetto di perdite alimentari in campo”.

Nello studio c’è anche il tentativo di capire il legame fra guerre, dazi, crisi climatica e spreco alimentare. Waste Watcher ha analizzato se e come questi fattori influenzano le abitudini di approvvigionamento, fruizione e gestione del cibo.

“Il risultato è, con tutta evidenza, l’impatto tangibile di queste sulle scelte di fruizione alimentare degli italiani: più di 1 cittadino su 3 (37%) ritiene utile puntare sui prodotti made in Italy nell’attuale contesto di guerre e tensioni internazionali, ma anche di crisi dei dazi – evidenzia la campagna. – È la risposta a un contesto percepito come instabile, e questa tendenza risulta particolarmente marcata tra i soggetti di età compresa tra i 35 e i 44 anni e tra gli over 64, con una concentrazione geografica significativa nel Centro Italia”.

Un italiano su 10 “privilegia semplicemente i prodotti più economici, a prescindere dalla loro sostenibilità, mentre il 5% ha direttamente ridotto la spesa alimentare per ragioni economiche, percentuale che raddoppia negli under 25. Un italiano su 5, ovvero il 22%, afferma di preferire prodotti locali e a chilometro zero”.

Esiste però anche un 20% della popolazione che dichiara di non aver modificato le proprie abitudini d’acquisto, affermando che le scelte alimentari restano indipendenti dal contesto internazionale.

Per quanto riguarda l’impatto della crisi climatica, il 66% degli italiani ha aumentato, o mantenuto alta, l’attenzione all’ambiente e ai comportamenti sostenibili. Un italiano su 2 dichiara di prestare maggiore attenzione all’impatto ambientale dei prodotti alimentari che acquista. Il 17% degli italiani, però, dichiara di non aver modificato i suoi comportamenti perché “non ritiene che ci sia alcun legame tra la crisi climatica e temperature anomale”.

Perché si spreca cibo?

Gli italiani spesso attribuiscono le cause dello spreco alimentare alla conservazione a monte della filiera.

Più di 1 italiano su 3 (37%) sostiene infatti che “frutta e verdura spesso sono conservate in frigo e, quando le porto a casa, vanno a male”; il 29% afferma che “i cibi venduti sono già vecchi”; il 31% ammette che “me ne dimentico e scade/fa la muffa/marcisce/si deteriora” e che “ho sempre paura di non avere a casa cibo a sufficienza”; il 29% dà la colpa alle troppe offerte.

Bruno Albertinelli