Il mio vicino, che ha trasformato una romantica casa di campagna, rustica e ricca di vegetazione spontanea in una lussuosa magione ossessivamente ordinata col prato rasato, sterile come un campo da golf e disseminata di telecamere, di fari e faretti ovunque, anche interrati tanto da rendere il prato serotino una sorta di pista aeroportuale, un giorno, riferendosi ad una pianta di Regina Claudia, una gustosa ed apprezzata varietà di susine, mi disse due cose: la prima che era soddisfatto della produzione frutticola di questa stagione. La seconda che data la scarsa produttività dello scorso anno era stato in procinto di tagliarla al piede.
Tacqui ammiccando un sorriso.
L'albero è un albero, pensai. E come tale fa quello che l’albero sa fare e fa da millenni: nasce, cresce, fiorisce e fruttifica. E questo ciclo l'albero lo mette in campo per una sola ragione: la sopravvivenza. La sua sopravvivenza. E allora accade che l'albero regga alla stagione invernale portatrice di freddo e neve ed ami il sole sopportandolo quando è troppo.
E accade ancora che l'albero superi periodi di clima secco e siccitoso o altri di pioggia eccessiva.
E tutto questo lo fa, l'albero, seguendo una logica che non è la nostra, quella dell’uomo intendo.
Noi, o meglio quelli come il mio vicino, pare vedano l'albero sotto un unico profilo. Quello del profitto: se fa le susine, e tante come voglio io bene, se no zac...si deve tagliare. Senza pietà.
L'albero non risponde però come vorrebbe il mio vicino a logiche industriali, di mercato, di gratificazione delle istanze economiche del suo padrone: l'albero non ha padroni.
L'albero si circonda di esseri viventi che lo stimano e lo adorano come ad esempio i suoi simili, gli insetti, le api, le formiche, i calabroni, e gli uccelli in particolare tra le cui fronde trovano frescura e casa quando è stagione di nidificare.
L'albero dispensa soprattutto gioia, pace, serenità, colori, ombra, frescura, ossigeno.
E li dispensa a tutto l'ambiente in cui vive e che lo circonda, un luogo libero come l'aria, senza padrone alcuno.
Se un anno i suoi frutti sono pochi avrà avuto le sue ragioni per risparmiarsi. E le sue ragioni, quelle dell'albero, non sono mai le nostre, o meglio...quelle del mio vicino.
Il mio amico curdo maestro di agricoltura naturale un giorno mi disse che gli alberi da frutta, quando avvertono di essere prossimi a morire per anzianità si mettono a produrre frutta in gran quantità. Ma non certo per onorare i loro padroni, bensì per aumentare le possibilità di sopravvivenza di loro stessi in altri esemplari di loro stessi.
Questa è una delle ragioni dell'albero. Una ragione semplice. Una ragione naturale.
Insomma, l'albero cresce dove vuole, come vuole. Siamo noi che lo tagliamo, potiamo, cimiamo, leghiamo, abbassiamo, alziamo, sfrondiamo, capitozziamo, raddrizziamo… Siamo noi che mettiamo in campo azioni innaturali in nome della produttività o, con un tocco di ipocrisia "per farlo stare bene" come se l'albero, per vivere rigoglioso avesse bisogno di essere torturato.
Ma noi, meglio dire quelli come il mio vicino, sembra che ancora oggi, in pieno cambiamento climatico, non riescano a capire la distanza tra le nostre ragioni, complicate e crudeli e quelle dell'albero, semplici e naturali.
E così in una fredda sera di un prossimo inverno quel susino potrebbe essere nel camino ardente della magione del mio vicino.