In politica siamo ormai abituati a tutto: voltagabbana seriali, specialisti del salto della quaglia, campioni del travestimento ideologico che a ogni stagione elettorale cambiano casacca come si cambia una giacca di mezza stagione. La coerenza, quella vera, è merce rara, quasi un cimelio da museo. Ed è per questo che la scelta di Emily Rini di non ricandidarsi alle prossime elezioni regionali merita una riflessione più ampia, che va oltre la cronaca e tocca la sostanza del fare politica.
Rini ha 43 anni, potrebbe correre tranquillamente, e anzi – diciamolo chiaro – questa volta avrebbe raccolto più consenso rispetto al passato. In giro per la Valle si percepisce senza sforzo: lei è ormai riconosciuta come la figura di riferimento di Forza Italia e, più in generale, di quel centrodestra moderato e liberale che ha saputo dialogare con il mondo produttivo senza urlare slogan vuoti. Non c’era quindi un ostacolo reale, né politico né elettorale, che le impedisse di ripresentarsi.
Eppure ha scelto diversamente. Una scelta tutt’altro che banale, perché – se guardiamo le altre liste – gli unici a non candidarsi sono quelli che non potevano farlo per legge, non certo per una decisione autonoma. Lei invece ha fatto l’opposto: una scelta consapevole, voluta, non indotta, per lasciare spazio a volti nuovi, giovani e qualificati, da affiancare all’esperienza degli uscenti. In un tempo in cui la politica si riduce spesso a occupare spazi di potere fino all’ultimo respiro, c’è da riconoscere che questa è una lezione.
Certo, qualcuno potrà obiettare che per candidarsi avrebbe dovuto lasciare la Presidenza del Traforo del Monte Bianco. Nulla di drammatico: il suo mandato scade a fine anno e si sarebbe trattato solo di anticipare la fine dell’incarico di qualche mese. Ma qui non si tratta di calcoli di calendario. Si tratta di un principio. Di coerenza, appunto.
Ed è proprio questa coerenza che stride con lo spettacolo, spesso indecoroso, che vediamo sotto le Alpi. Qui non mancano i funamboli del consenso: quelli che la sera si dichiarano riformisti e la mattina dopo autonomisti puri; quelli che un giorno abbracciano il verbo sovranista e il giorno dopo si scoprono improvvisamente europeisti convinti; quelli che si vendono come paladini del rinnovamento ma non mollano la poltrona neanche con la fiamma ossidrica. Opportunisti travestiti da statisti, dispensatori di fumo che trasformano ogni campagna elettorale in un bazar di promesse improbabili e di illusioni spacciate al dettaglio.
E non prendiamoci in giro: anche in Forza Italia Valle d’Aosta – come altrove – la quantità di questi professionisti del carro è industriale. Gente che fiuta il vento, che sale e scende dai simboli come fossero taxi, che misura il proprio impegno politico solo in termini di incarichi da conservare e prebende da strappare. Personaggi che, con la stessa disinvoltura con cui oggi proclamano fedeltà a un leader, domani giurerebbero amore eterno al suo avversario, pur di non restare a terra quando parte la carovana.
Ecco perché la scelta di Emily Rini stona. Fa rumore. Perché toglie l’alibi a tutti gli altri. Mostra che un altro modo di intendere l’impegno pubblico esiste: non come mestiere eterno, ma come responsabilità temporanea; non come opportunismo, ma come scelta ponderata; non come ego, ma come servizio.
In fondo, l’onestà intellettuale è questa: rinunciare a una candidatura che avrebbe potuto garantire voti e visibilità, per rispettare un percorso e dare spazio ad altri. Una decisione che fa rumore proprio perché si colloca in controtendenza rispetto al coro dei professionisti del carro, che continuano a farsi largo dispensando fumo e vendendo illusioni.
E allora, davanti a questa scelta, gli elettori valdostani dovrebbero chiedersi: vogliamo continuare ad affidarci ai saltimbanchi della politica, ai prestigiatori di slogan, agli illusionisti di professione? O preferiamo finalmente premiare chi sceglie la coerenza, anche a costo di rinunciare a qualcosa?
Coerenza politica e onestà intellettuale
La politique, on le sait, est devenue un cirque permanent. Voltigeurs de l’idéologie, spécialistes du « grand écart », équilibristes du pouvoir : à chaque élection, les mêmes changent de maillot comme on change de chemise. La cohérence ? Un luxe, une relique bonne pour un musée. Voilà pourquoi le geste d’Emily Rini – 43 ans, figure reconnue de Forza Italia et du centre-droit modéré valdôtain – de ne pas briguer un nouveau mandat régional, mérite qu’on s’y arrête.
Car cette fois-ci, tout indiquait qu’elle aurait fait mieux que par le passé. Dans la Vallée, Rini s’est imposée comme la voix d’un libéralisme pragmatique, capable de parler au monde économique et aux autonomistes sans sombrer dans la caricature des slogans creux. Elle aurait pu y aller, sans obstacle majeur. Elle a choisi l’inverse.
Contrairement à la majorité des sortants qui s’accrochent à leur siège comme des mollusques à leur rocher – sauf ceux que la loi interdit de recandidater –, Rini a décidé de céder la place. Une décision volontaire, réfléchie, pour ouvrir la porte à des visages neufs, jeunes, compétents. En somme, une respiration dans un climat politique où l’oxygène manque cruellement.
On lui reprochera peut-être de ne pas avoir quitté plus tôt la présidence du tunnel du Mont-Blanc. Question secondaire : son mandat expire en décembre, il s’agissait de couper de quelques mois. Mais réduire son choix à une affaire de calendrier serait passer à côté de l’essentiel : le principe, la cohérence.
Et cette cohérence détonne dans le vacarme local. Ici, on ne manque pas de funambules du consensus : réformistes au coucher du soleil, autonomistes au petit matin ; souverainistes un jour, européistes le lendemain ; prophètes autoproclamés du renouveau, mais agrippés à leur fauteuil avec une ferveur quasi religieuse. De faux sages, de vrais illusionnistes, qui transforment chaque campagne en foire aux promesses low-cost.
Soyons honnêtes : Forza Italia Vallée d’Aoste, comme les autres, regorge de ces « professionnels du carrosse ». Des renifleurs de vent, montant et descendant des partis comme d’un taxi, et qui n’évaluent leur engagement qu’en termes de postes à sauver ou d’avantages à négocier. Hier fidèles à un chef, demain amoureux de son rival : l’essentiel est de rester assis quand la caravane démarre.
C’est là que le geste d’Emily Rini fait mal. Parce qu’il enlève toute excuse aux autres. Parce qu’il montre qu’une autre politique est possible : non pas une carrière à vie, mais un service à durée limitée ; non pas une opération opportuniste, mais un choix assumé ; non pas une démonstration d’ego, mais un acte de responsabilité.
L’honnêteté intellectuelle, c’est ça : renoncer à des voix et à la lumière pour rester fidèle à un principe. En face, les illusionnistes professionnels continuent de distribuer de la fumée en espérant rallier des passagers de dernière minute.
Aux électeurs valdôtains de trancher : veulent-ils continuer à confier leur bulletin aux prestidigitateurs du slogan, aux acrobates de circonstance, aux vendeurs de mirages ? Ou décider, enfin, de récompenser celles et ceux qui placent la cohérence au-dessus du carriérisme, quitte à perdre une place dans le carrosse ?