Quando mille e settecento contribuenti si lamentano, forse non sono evasori. Forse sono solo cittadini. Traditi.
In un’Italia dove il cittadino viene evocato come fulcro della democrazia solo quando c’è da votare o da pagare, Aosta si distingue per un primato poco invidiabile: quello di aver trasformato l’automobilista in bersaglio e il contribuente in limone da spremere.
Non è una metafora, ma l’amara sintesi dell’esposto depositato in Procura da AVCU, l’associazione dei consumatori valdostani, che ha squarciato il velo su una vicenda già nota nei corridoi del Palazzo ma finora tollerata, forse minimizzata, di certo non affrontata.
Mille e settecento cittadini – tanti, forse di più – hanno ricevuto sanzioni lievitate fino a quattro volte l’importo originario, senza aver mai ricevuto la notifica. Nessun avviso, nessuna raccomandata, solo una cartella finale, impietosa e maggiorata. Una trappola. Una beffa. Una vergogna.
Il Comune di Aosta, attraverso la società SEND, avrebbe delegato – o meglio, scaricato – il compito delle notifiche a un soggetto terzo, non meglio identificato. Non si sa chi sia, non si sa come operi, ma ha un potere tremendo: far passare per debitori recidivi cittadini ignari. Se tutto questo venisse confermato, sarebbe l’ennesima dimostrazione di come l’esternalizzazione cieca e senza controllo si trasformi da strumento in boomerang.
Ma ciò che indigna – più della sanzione, più del disservizio – è il silenzio istituzionale.
La vicesindaca Josette Borre, che detiene la delega ai Tributi, sapeva. Ha ammesso in un incontro con l’AVCU che i casi potrebbero superare i mille. Lo ha detto. Lo ha confermato. Ma il Comune, invece di sospendere tutto e accertare cosa stesse succedendo, ha premuto l’acceleratore: nuove cartelle, nuovi solleciti, nuovi salassi. Come se nulla fosse. Come se il cittadino non contasse nulla. Come se il dubbio – che dovrebbe essere il motore dell’azione pubblica responsabile – fosse un fastidio da zittire.
Siamo all’inversione del principio di legalità: il cittadino non è più innocente fino a prova contraria. È colpevole fino a pagamento effettuato.
La macchina comunale, sorda e inflessibile, si è trasformata in un muro di gomma. La mozione del Consiglio comunale? Un atto tardivo e retorico, che chiede genericamente di "fare chiarezza" ma evita accuratamente di fare giustizia. Perché la giustizia, quella vera, dovrebbe partire da una semplice constatazione: se salta la notifica, salta tutto. Salta il diritto alla difesa. Salta il rapporto di fiducia tra amministrati e amministratori. Salta la dignità di uno Stato – o di un Comune – che si definisce democratico.
L’AVCU ha fatto ciò che dovrebbe fare la politica: ha raccolto le segnalazioni, ha chiesto spiegazioni, ha denunciato l’inerzia. E lo ha fatto indicando nomi, numeri, testimoni, dinamiche. Con coraggio, ma soprattutto con chiarezza. Una chiarezza che il Comune ha evitato, nascosto dietro le formule generiche dei comunicati, incapace di un gesto semplice: fermarsi, riconoscere l’errore, chiedere scusa.
Perché diciamolo chiaramente: se fosse vero che un solo cittadino ha pagato senza avere avuto la possibilità di difendersi, saremmo già davanti a un abuso. Ma qui parliamo di mille, forse millesettecento casi. E l’idea che tutti abbiano mentito, come ha scritto Ettore Vuillermoz, è semplicemente ridicola.
E allora eccolo, il Cittadino Pantalone: l’uomo qualunque che lavora, parcheggia, rispetta le regole, paga le tasse. Ma che scopre di essere diventato un bersaglio. Non perché ha sbagliato, ma perché qualcuno ha deciso che fosse più comodo far finta di nulla. Più facile esternalizzare. Più redditizio incassare.
Se la Procura farà luce fino in fondo, come è auspicabile, questo caso potrebbe diventare emblematico. Un monito. Ma anche una sveglia. Perché non si governa con i contratti di servizio e le mani in tasca al cittadino. Si governa con responsabilità. E con la capacità, ogni tanto, di dire: "Abbiamo sbagliato. Fermiamoci. Rimediamo".
Ma da Palazzo, per ora, tutto tace. Tranne le cartelle.
Cittadino pantalone
On l’appelle «usager», «contribuable», parfois même «administré». Mais pour l’administration communale d’Aoste, il semble qu’il soit surtout une chose : un payeur. Un Citoyen Porte-monnaie. Celui qui reçoit une amende majorée, sans jamais avoir reçu la notification préalable. Celui qui, pour une infraction de 29 euros, se retrouve à en payer 107, sans possibilité de contester. Celui qui découvre tout cela non pas dans un bureau de la mairie, mais dans un « dernier avis » glissé dans la boîte aux lettres.
C’est l’Association valdôtaine des consommateurs, l’AVCU, qui a tiré la sonnette d’alarme. Un exposé a été déposé auprès du Parquet d’Aoste : il y aurait au moins 1 700 citoyens concernés. Un chiffre confirmé, de vive voix, par la vice-syndique Josette Borre elle-même. Et pourtant... rien n’a été suspendu. Aucun gel des recouvrements, aucune enquête administrative immédiate. La machine tourne, les services fiscaux envoient de nouvelles mises en demeure, comme si de rien n’était.
Le problème ? Il serait né de la sous-traitance des notifications à une société tierce par SEND, la société chargée des envois pour le compte de la mairie. Selon l’AVCU, cette société n’aurait pas respecté ses obligations légales. Résultat : un double préjudice pour les citoyens, pris au piège d’un système bureaucratique qui punit sans prévenir.
Et le plus grave, c’est que la mairie savait. L’a reconnu. L’a dit. Mais n’a rien fait. Pas même une suspension temporaire des paiements. Les citoyens ont été abandonnés, réduits à une option simple mais cruelle : payer, ou risquer encore pire.
Une motion du Conseil communal demande aujourd’hui de «faire la lumière». Très bien. Mais pendant ce temps, les dettes s’accumulent, les intérêts courent, et les excuses ne viennent pas. Et l’idée qu’autant de citoyens aient pu mentir est, comme le dit l’AVCU, tout simplement absurde.
Ce qui est en jeu ici, ce n’est pas une banale erreur de procédure. C’est un principe fondamental : le droit de se défendre. Une amende, on peut l’accepter, mais encore faut-il en être informé. Sans notification, il n’y a pas de défense possible. Sans transparence, il n’y a plus de confiance.
Si la justice confirme les faits dénoncés, il ne s’agira plus d’un couac administratif, mais d’un choix politique. Une décision consciente de ne pas intervenir, de laisser faire. Et alors, le silence de l’administration pourrait devenir une faute. Une faute grave. Payée, une fois encore, par le Citoyen Porte-monnaie.