Dietro i gazebo, le petizioni, i proclami da piazza e le firme raccolte "per difendere l'autonomia" si cela una strategia chiara: affossare una legge elettorale che reintroduce le preferenze e – finalmente – la rappresentanza di genere. Altro che dibattito democratico. Il referendum confermativo voluto da una parte dell'opposizione è, parole di Erik Lavevaz, "una campagna politica a tutti gli effetti". Travestita, magari, ma pur sempre politica. E condotta, aggiungiamo noi, con un certo sprezzo della coerenza.
Il consigliere unionista e presidente della prima Commissione del Consiglio regionale non le manda a dire. E nel suo blog Le Bourdon smonta con metodo chirurgico le tesi dei promotori del referendum. Non si limita a rispondere: li espone. Uno a uno, argomento per argomento.
"I promotori del referendum tuonano convintamente che si voterà comunque con la vecchia legge", scrive Lavevaz, "ma l’unico ente titolato a pronunciarsi – l’Ufficio elettorale regionale – ha chiarito esattamente il contrario: la modifica DEVE essere applicata fin dalle elezioni di settembre".
La polemica sulla tempistica – l'accusa che il voto referendario arrivi tardi – è sgonfiata con un'altra constatazione: "Forse se i sette consiglieri avessero firmato già a marzo, non avrebbero potuto portare avanti tre mesi di campagna elettorale mascherata da raccolta firme".
Più che un esercizio democratico, insomma, un’operazione mediatica utile a mantenere viva l’attenzione e a rinviare il cambiamento. Quel cambiamento che fa paura: non tanto per il ritorno delle tre preferenze, ma per l’introduzione – sacrosanta – della preferenza di genere.
Sì, perché se andiamo al nocciolo della questione, è lì che scotta. A destra si grida all’incostituzionalità, sostenendo che la tripla preferenza con vincolo di genere non garantisca la parità. Peccato che la proposta originaria del centrodestra prevedesse cinque preferenze, senza alcun vincolo di genere. Una cantonata che Lavevaz commenta così: "Io di numeri non ne capisco tanto, ma mi pare che tre sia più vicino a cinque che ad uno".
Non manca la stoccata alla sinistra radicale, accusata di "abbracciare Fratelli d’Italia" in nome della purezza riformista, per poi opporsi all’unica legge che – pur minimale – introduce finalmente la preferenza di genere. Contraddizioni macroscopiche, dice il consigliere Uv, che si sommano alla tragicommedia della proposta 58, presentata da Minelli e Guichardaz e votata… solo dalla prima.
"Forse a volte è più difficile trovare la sintesi in due", osserva ironico Lavevaz.
Il referendum, si farà. Ma resta il dubbio su quanto sia stato raccontato con onestà ai cittadini. Nei gazebo si parlava di "elezione diretta del Presidente", di "modifiche strutturali", di "grandi riforme":
"Si è cercato di vendere lanterne spacciandole per lucciole", sintetizza l’ex presidente della Giunta.
Non c'è nulla di più pericoloso per l'autonomia che ridurla a pretesto di propaganda. Il referendum – parola di legge – sarà su un quesito secco: approvate o no la legge che reintroduce le tre preferenze e la parità di genere? Tutto il resto, dice Lavevaz, "è disinformazione".
E a chi continua a giocare sulla data del voto, il consigliere ricorda che è il Presidente della Regione a doverla fissare: "ha un margine temporale ben definito e ristretto". Tradotto: non c'è spazio per manovre, solo per chiarezza.
Chi ha paura del cambiamento – e soprattutto della parità – ha scelto la strada del referendum per cercare di frenarlo. Ma ora le carte sono sul tavolo. E i cittadini, informati davvero, sapranno distinguere tra lanterne e lucciole.