Antonio Manzini è due volte di casa in Valle d’Aosta; fisicamente perché da sempre lui, romano, trascorre le vacanze estive ed invernali nella nostra regione, letterariamente perché tra Aosta e le sue valli ha ambientato la saga del vice questore Rocco Schiavone, poliziotto molto particolare nel panorama della letteratura di genere in Italia. Pur non avendo novità da presentare, Manzini, è stato a Les Mots dove invece di un romanzo ha raccontato se stesso.
«E’ la terza volta – dice – che sono ospite del Festival, sono praticamente cittadino onorario; l’anno prossimò vengo a darvi una mano nell’organizzazione.» Benché abbia conosciuto il grande successo con Rocco Schiavone, Manzini è un navigato uomo di lettere. Ha collaborato con Niccolò Ammaniti, in una cui antologia ha pubblicato lo straordinario racconto “Caccia al tesoro”, storia di un chirurgo plastico alla ricerca di una partita di cocaina da lui stesso nascosta nella protesi mammaria di una cliente. E’ autore di due noir di grande spessore, “La giostra dei criceti” e “Sangue marcio”.
«Aosta è una piccola città in cui tutti si conoscono ed al contrario di quanto potrebbe sembrare questa ambientazione facilita l’ideazione di un romanzo giallo.» spiega e aggiunge: «Le montagne valdostane assomigliano a Rocco Schiavone, sono chiuse, non hanno vallate aperte come le Dolomiti: la loro morfologia è quella del personaggio.» «La Valle d’Aosta – prosegue Manzini – è un paese strano e mi piace ambientarvi i miei romanzi gialli perché nessuno lo ha mai fatto prima.»
Dopo “Pista nera”, “La costola di Adamo” e “Non è stagione” un quarto capitolo delle vicende di Rocco Schiavone è quasi pronto, dovrebbe uscire a luglio. Il titolo è ancora top secret.
Attore e sceneggiatore televisivo, Antonio Manzini è convinto che i suoi gialli aostani abbiano tutte le caratteristiche per diventare fiction tv e per la Valle d’Aosta sarebbe un’ulteriore vetrina. Una curiosità: quando ha scelto un nome per il suo vice questore Manzini non sapeva che ad Aosta aveva a lungo operato un magistrato che si chiamava anche lui Schiavone. «Me lo hanno detto dopo - racconta - il cognome del mio poliziotto è quello di mia suocera.»