Era bellissima Nilde Iotti, perché somigliava alla mia maestra Margherita, con quella capigliatura raccolta in uno chignon, un viso ovale perfetto, gli occhi sottili come lame, pronti ad allargarsi per esclamare senza alzare la voce, traducendo in un segno del corpo appena evidente ogni moto dell’animo che rischiasse di esondare oltre la soglia della moderazione.
Il suo parlare non denunciava alcuna inflessione dialettale, le frasi scorrevano musicali per brevi accelerazioni e fermate esitanti, quasi disponendosi in versi, nitidi, accessibili a tutti, senza tecnicismi, senza involuzioni, piuttosto come in un distillato di pensiero puro.
La nobiltà, mi pare di averlo già affermato, è uno stile dell’essere e non un passaggio di testimone tra consanguinei: certo, i tratti si ereditano anche, ma devono costituire una miscellanea di profili grazie al rapporto con l’esterno e alle esperienze vissute. Così si trova un equilibrio dinamico, capace di muoversi all’interno di uno spettro limitato, creando un’atmosfera intorno di rispetto, di ammirazione, financo di soggezione che dura tutta la vita, fino in fondo.
Era nobile Leonilde, sebbene di origini modeste, una grazia severa germinata nella miseria, nelle restrizioni, nella gravità di un’epoca di privazioni, ma anche di fermento sociale, di desiderio d’un altro mondo, di solidarietà tra poveri.
Una rivoluzionaria però nelle idee e nella capacità di anticipare i tempi: quando il perbenismo più gretto e un sistema di codici morali mortificante e mistificatorio che oggi suona medievale effonde ogni tipo di infelicità tra le mura domestiche dell’Italia postfascista, lei sfida amici e nemici nel nome dell’amore, inaugurando una stagione nuova di libertà e di occasioni. Questa donna caparbia e cortese prepara così il terreno non solo per chi realizzerà manufatti nell’operosità tenace, ricomponendo le macerie della guerra una ad una, non solo per chi genererà figli ispirandosi a una nuova speranza perché promette loro un lungo futuro di pace, ma anche per chi era costretto in una rete di legami che, nel nome della ottemperanza ad ogni costo ad un antico diktat sociale, imputridiva alla radice ogni sentito slancio d’affetto.
La politica dichiara il suo fallimento quando si trova costretta a prendere atto, con una disposizione normativa, di quanto è già consumato nella società civile: il suo compito, al contrario, è di cogliere i primi segnali di ciò che verrà, di quanto ribolle sotto traccia ma non si è ancora manifestato, arginando le derive mortifere e indicando, anche con la legge, la direzione giusta per promuovere la crescita di consapevolezza di sé, per favorire il processo di liberazione dell’uomo e rafforzare le ragioni del cooperare tra soggetti facenti parte di un collettivo.
Aveva vissuto sulla propria pelle, ben venticinque anni prima del referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio, la pena del giudizio, lo stigma della discriminazione per comportamenti considerati amorali, quella distanza tra convenzioni e sentimenti, tra accordi scolpiti sulla pietra e il turbinare incontrollato degli affetti più profondi. Lo sostenne per evitare che i sentimenti amorosi, ormai considerati l’unico collante di una unione, una volta estinti non si trasformassero in cancri di rancore, in crogioli di violenza. E lo fece senza sventolare bandiere o urlare slogan, ma con la forza lenta e potente di una dialettica logica, sobria ed esatta.
Nilde Iotti incarnava la buona politica, capace di guardare oltre, soprattutto nel suo servizio a quella fragile Repubblica Italiana che aveva contributo a far nascere come membro della Costituente. Da Presidente della Camera modificò il regolamento parlamentare limitando il ricorso al voto segreto, assicurando tempo al dibattito democratico, spazio a decisioni certe ma scardinando anche alcuni meccanismi perversi che rallentavano i lavori e favorivano comportamenti ingannatori, ostruzionistici, sterili. Da Presidente della commissione parlamentare per la revisione della seconda parte della Costituzione aveva ipotizzato, oltre a una drastica riduzione dei parlamentari – che abbiamo di recente conquistato – un ruolo differente delle camere: una doveva essere chiamata a legiferare, l’altra o a presidiare il potere esecutivo, a facilitare i compiti del governo e insieme a monitorarne i comportamenti, oppure a dare voce ai territori e alle autonomie locali, come accade in Germania: prima o poi, lo auspichiamo, anche questo accadrà.
La sua compostezza, la sua classe erano espressione incarnata di un’idea alta della politica come arte di organizzare la vita degli uomini per gli uomini, perseguendo il benessere di tutti e di ciascuno. Questo richiede un investimento morale, un rigore molto più grande di quello chiesto ai cittadini che si governano ma anche conoscenza, studio, dedizione totale.
Vorrei anch’io poter dire come Nilde Iotti, alla fine del viaggio: “Ho l’idea di essere riuscita, in qualche modo, ad affermare quel poco che io sono…”. Questo quando affermare significa ricevere una corrispondenza: qualcuno mi ha confermato di essere chi sono, nient’altro che una particola infinitesimale dell’Universo, offerta al prossimo, utile al Tutto.