ATTUALITÀ ECONOMIA - 30 giugno 2021, 10:00

C’è mascherina e mascherina. La strada di Fil.Va verso chiarezza e sicurezza

Che differenza c'è tra ciò che è necessario per proteggerci dal Covid e gli altri dispositivi di protezione individuale? E quali sono le normative di riferimento? Nel lavoro e nel metodo dell'azienda varesina le risposte per orientare l'utenza a un acquisto e a un utilizzo consapevole e corretto

C’è mascherina e mascherina. La strada di Fil.Va verso chiarezza e sicurezza

Prima del Covid le mascherine - meglio sarebbe scrivere: i dispositivi di protezione individuale - erano strumenti che facevano parte dell’esistenza di pochi. Noi comuni mortali le osservavamo ben aderenti al volto del personale sanitario in determinate occasioni (ed erano le cosiddette “chirurgiche”), oppure su quello indaffarato di operai specializzati, uomini di cantiere e lavoratori a contatto con sostanze pericolose. Dall’estremo oriente, talvolta, arrivavano poi immagini televisive che ci suggerivano anche un loro utilizzo più comune, più diffuso, orientato a una protezione sociale generalizzata. Le abbiamo guardate, distrattamente, senza pensare che un giorno saremmo diventati protagonisti di sequenze identiche.

La pandemia non solo ha fatto sì che ciò accadesse, sdoganando prepotentemente l’esigenza protettiva nella nostra quotidianità, ma ha anche creato parecchia confusione intorno alla produzione delle mascherine stesse, alla loro differenziazione, alle loro specificità d’uso e alle sigle che le contraddistinguono. Qualcuno si è approfittato di tale caos, riempiendo le cronache dei giornali di truffe, di scandali e di storie di prodotti spacciati per quello che non sono e non saranno mai: altri, invece, dal medesimo contesto hanno acquisito consapevolezza e attenzione, non sottraendosi ai capisaldi della chiarezza, della sicurezza e dell’onestà verso il cliente.

È il caso della Fil.Va, azienda del territorio, da oltre 40 anni attiva nella produzione di monofili per applicazioni industriali. Nella corsa alla nuova mecca che ha ingolosito tanti, l’impresa con sede a Varese si è caratterizzata soprattutto per un particolare: ha saputo tenere ben distinti prodotti che l’uno con l’altro nulla c’entrano. Perché anche nel mondo delle mascherine, come si è scritto nell’introduzione, c’è e ci deve essere un prima e un dopo. E questa storia lo spiega chiaramente.

Inizia come tante,  nell’anno e mezzo che ha stravolto il mondo. L’arrivo dei contagi ha spinto Fil.Va a preoccuparsi innanzitutto della salute dei propri dipendenti: il primo pensiero nel decidere di lanciarsi nella produzione di DPI è stato per loro. Solo dopo è arrivato il mercato ed è stata una “scalata” che ha dovuto fare i conti con una situazione in continua evoluzione e con la difficoltà di non scendere a compressi.

Comprati i macchinari necessari - mentre le istituzioni nazionali e sovranazionali cambiavano rapidamente idea sull’utilità effettiva delle mascherine chirurgiche (le mascherine “altruiste”) e suggerivano l’utilizzo delle più protettive FFP2 - in azienda ci si è accorti che produrre le seconde era operazione tutt’altro che banale

Per una questione tecnica, in primis: la capacità protettiva di una mascherina deriva dal pacchetto filtrante di cui essa dispone ma anche dalla sua conformazione, che arriva a determinare il modo in cui viene indossata e quindi anche il modo in cui svolge la sua funzione. E poi per una questione normativa: per essere classificato in un certo modo, un dispositivo deve superare una serie di controlli che l’Unione Europea ha stabilito in maniera ferrea. 

I primi esperimenti in Fil.Va portano alla creazione di dispositivi KN95, ovvero degni di certificazione in Cina (fatto in un certo senso inevitabile vista la provenienza delle macchine produttrici) ma non corrispondenti agli standard europei. Si cercano i miglioramenti necessari, si fanno altri investimenti ed ecco finalmente dei filtri che soddisfano i requisiti minimi per le FFP2.

La maggior parte della concorrenza, a questo punto, si sarebbe gettata sul mercato, contenta dei risultati ottenuti. Fil.Va, invece, si fa venire uno scrupolo: «Per far passare queste mascherine come veri dispositivi di protezione individuale FFP2, erano necessarie delle modifiche sulla forma e delle aggiunte in corso d’opera da parte di chi le comprava e poi indossava - spiega Natale Faré, procuratore dell’azienda - Senza un nastro adesivo a garantire l’aderenza sul naso e senza lacci che assicurino la perfetta chiusura, la maschera tal quale non supera i requisiti richiesta dalla normativa…».

E poi un altro dubbio: perché costringere le persone a vestire nella loro quotidianità dispositivi di protezione pesanti, opprimenti e difficilmente portabili, necessari sì a un saldatore, a un sabbiatore, o a chi lavora in una fonderia, ma non a chi deve essere protetto da un virus?

È a questo punto che Fil.Va. con una certa perizia scopre che il normatore europeo ha trovato una strada per tutto: si tratta della normativa PPE-R/02.075 Version 2, specificatamente pensata per reperire soluzioni tecniche da porre in atto per la certificazione non dei dispositivi FFP2 in generale, ma solo dei dispositivi protettivi contro il Covid 19.

E, allora, che senso avrebbe mettere sul mercato delle FFP2 “dure e pure” per evitare il contagio del virus quando è possibile fare altrimenti, rendendo anche più semplice la vita alla generalità degli individui, già gravati del peso di un prima sconosciuto obbligo?

Da qui nasce la differenziazione attuale nell’offerta. 

Per proteggersi dal Covid l’azienda varesina ha messo sul mercato Aria+ Classe 2001 Covid 19, l’unico vero DPI appositamente certificato allo scopo: cinque strati di tessuto non tessuto (tra cui cosiddetto meltblowncon lo stesso pacchetto filtrante di una FFP2 ma perfetto per l’uso quotidiano (anche in ambito sanitario), perché leggero, comodo e sensibile di non affaticare la respirazione. E presto entrerà in commercio la nuova versione della Classe 2001 Covid19, stessa capacità filtrante ma con solo quattro strati di tessuto non tessuto, quindi ancora più leggera e portabile.

Per tutti coloro che invece hanno bisogno di protezione per ragioni professionali, ecco una “vera” FFP2, rispettante alla lettera i severi standard imposti dalla normativa europea sul tema. Perché a questi professionisti serve ben altro che una maschera anti-Covid, vista la pericolosità delle particelle con cui potenzialmente vengono in contatto.

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