- 13 luglio 2020, 09:14

L'OPINIONE DEL COMMERCIALISTA PAOLO LAURENCET: Ritardi e confusioni non aiutano la ripresa

Solo il centro destra ha mantenuto una posizione coerente non condividendone il contenuto già della prima versione e non approvandone la definitiva in sede consigliare

L'OPINIONE DEL COMMERCIALISTA PAOLO LAURENCET: Ritardi e confusioni non aiutano la ripresa

La scorsa settimana è stato annunciato dal Presidente del Consiglio, con il solito gran cerimoniale, il  decreto “Semplificazioni”. Come da copione il documento è in attesa di definizione “salvo intese” (un modo  politico per dire che vi sono dissensi), ovvero un “niente giuridico”, di fatto subordinato ad ulteriori  trattative tra le forze di maggioranza.

Del resto, siamo ormai abituati ai proclami in diretta facebook e  soprattutto ci siamo arresi al “nulla”, considerato che tra i due governi Conte sono ben 570 i decreti da  adottare, così che oggi sembra più facile aprire un cantiere che far diventare operativa una legge.

Volendone fare la contabilità, con riferimento ai soli provvedimenti assunti durante l’emergenza  Coronavirus rileviamo che il decreto “Cura Italia” prevede 30 decreti attuativi, ne mancano ancora 19; per il  decreto “Liquidità” restano da predisporre ancora 8 decreti su 12; per il decreto “Rilancio” ne mancano  all’appello ben 77 su 103.

E’ evidente che, finita l’emergenza da Covid19, non vi sarà probabilmente  bisogno di alcun decreto, con la conseguenza che quei provvedimenti, pubblicizzati con conferenze stampa  urbi et orbi, resteranno inattuati.

Per il decreto Semplificazioni vi è un ulteriore problema, di non poco conto, ovvero la necessità di  riformulare il reato di “abuso d’ufficio”, da cui in parte dipendono i ritardi e le inefficienze della pubblica  amministrazione, posto che nessun amministratore pubblico vuole correre il rischio di essere attratto nel  vortice di vicende ed indagini giudiziarie che durano all’infinito nell’italica repubblica giudiziaria.

Da alcune indiscrezioni trapelate parrebbe che in una prima formulazione del decreto addirittura il reato  risulterebbe di fatto abrogato, scatenando così una immediata reazione da parte dei pubblici ministeri,  increduli di fronte a tanta audacia.

Di conseguenza, prono al volere di chi in questo periodo dovrebbe tenere un basso profilo (in  considerazione di quanto sta venendo alla luce con riferimento alle vicende del dott. Palamara), il Governo  ha subito previsto un correttivo ampliando la definizione del reato così da ammettere un’interpretazione  assai ampia che consentirebbe di punire l’inosservanza di regole di condotta puramente formali o di tipo  procedurale.

 In questo modo, probabilmente, il tentativo di ovviare al male risulta peggiore del male stesso. Si  continuerà a sindacare penalmente non la corruzione, ma la discrezionalità amministrativa, sulla scorta di  vaghi principi generali, quali il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.

Del resto, il  Paese è abituato ad assistere a decine di migliaia di processi per abuso d’ufficio finiti nel nulla e con costi  aggiuntivi per le difese degli indagati a carico delle pubbliche amministrazioni ovvero di noi tutti.  Penso ad uno dei principi stabiliti dalla Corte Suprema americana secondo cui la pubblica accusa non deve  strumentalizzare le leggi e la giurisdizione per imporre standard di moralità o canoni di buon governo, ma  deve porsi l’obiettivo di verificare scrupolosamente (ed ora aggiungerei, con imparzialità e indipendenza,  lette le cronache di questi giorni) la sussistenza di elementi costitutivi di reato.

Ma, forse, questo è  pretendere troppo in Italia.  Sempre la settimana scorsa i giovani professionisti sono scesi in piazza a Roma per rivendicare al Governo la  propria posizione in seno al mondo produttivo nazionale e manifestare le proprie proposte, ossia una minor  pressione fiscale e l’estensione dei contributi a fondo perduto anche alle categorie professionali.

Una  richiesta di attenzione proveniente da professionisti under 40 che rappresentano il 40% degli oltre due  milioni autonomi iscritti agli albi. Peccato che il Governo preferisca rivolgersi a task force, costituite da  esperti a carico dei contribuenti, piuttosto che dare ascolto alle proposte provenienti dai Consigli nazionali delle professioni.

Questa scelta, incomprensibile, conduce nella realtà a leggi complicate, farraginose e  difficili da interpretare. Il risultato sono inefficienza ed inefficacia.

Rimanendo sul tema di inefficacia il Governo, con emendamento a firma M5S, nel corso dei lavori  parlamentari per la riconversione in legge del Decreto Rilancio, ha prorogato l’utilizzo dello smart working  per il personale della Pubblica Amministrazione sino alla fine del 2020, disponendo inoltre che la struttura  dirigenziale dello Stato si attivi per allargarla sino al 60% dei dipendenti nel 2021.

A mio avviso il lavoro  agile può essere una grande innovazione ma non può essere realizzato da un giorno all’altro. Si sta  interpretando il concetto di smart working come se fosse telelavoro, invece è un cambio di paradigma che  coinvolge sia il settore pubblico che il privato; un cambio che deve puntare all’efficienza. Pensare di avere il  50 o il 60 per cento di dipendenti pubblici gestiti con modalità diversa dalla presenza, senza aver fatto  prima una modifica della Pa, senza aver prima messo i funzionari nelle condizioni di poter lavorare anche  lontano dall’ufficio, pare velleitario e molto pericoloso.

La transizione verso il lavoro agile deve essere  graduale e accompagnata dalla formazione dei funzionari e dal potenziamento delle infrastrutture digitali,  altrimenti diversi settori economici così come il lavoro degli studi professionali rischiano di rallentare  ulteriormente con grave danno per l’economica nazionale, già sufficientemente provata dal Covid19. 

Nella nostra Regione, dopo un iter piuttosto complesso, è stato approvato il terzo pacchetto di misure a  sostegno delle imprese e delle famiglie valdostane. Documento criticato da tanti, eppure dagli stessi  approvato. Solo il centro destra ha mantenuto una posizione coerente non condividendone il contenuto già  della prima versione e non approvandone la definitiva in sede consigliare.

I punti controversi della legge  regionale risiedono nella sua complessità e articolazione che fanno ritenere che i tempi di applicazione  saranno piuttosto lunghi. Si richiedevano interventi rapidi a sostegno dell’economia locale, e invece a luglio  le imprese sono ancora in attesa dell’esecutività di alcuni provvedimenti contenuti nella precedente legge  regionale, approvata nel mese di aprile. Inoltre ci sono seri dubbi sulla copertura finanziaria di buona parte  delle misure, tra cui i contributi a fondo perduto. Sospetti che non provengono solo dall’opposizione ma  che circolano anche tra gli uffici tecnici regionali.

Non mi intendo di retro pensiero e tanto meno di affinità  elettive, però credo che lavorare sino all’ultimo, su di un tema delicato come il fondo perduto alle imprese  valdostane, con l’obiettivo di avere un provvedimento supportato dalle adeguate coperture finanziarie sia  un chiaro segnale di serietà, buon senso e realismo; non mi pare possa essere descritto come un  comportamento folle e soprattutto dettato da meri interessi politici.

Altro argomento di discussione è stata  la scelta di alcune forze politiche di utilizzare i fondi destinati agli enti pubblici e soprattutto ai comuni per  sostenere e “finanziare” i propri emendamenti.

Non entro nel merito, mi limito ad una considerazione  tecnica: fondi destinati ad investimenti di lungo periodo, quali, per esempio, le opere pubbliche comunali,  sono state riallocate per finanziare interventi di breve periodo. Così facendo degli investimenti sono stati  trasformati in spese correnti.

Peccato che i primi sono tali perché producono un ritorno economico nel  lungo periodo mentre le seconde sono semplicemente dei costi, che come al solito dovremo sopportare noi  contribuenti. (www.studiolaurencet.ithttp://www.studiolaurencet.it/http://www.studiolaurencet.it/)     

Paolo Laurencet

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