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ATTUALITÀ ECONOMIA | 28 aprile 2020, 08:21

L'OPINIONE DEL COMMERCIALISTA PAOLO LAURENCET: Al momento non mi risultano finanziamenti erogati.

RESTIAMO A CASA - Bruxelles, a sorpresa, dice sì al Recovery Fund. Passa così la linea fortemente sostenuta dal premier Conte. In questi giorni mi sono occupato di più di una pratica e ho contato in media dai cinque ai dodici documenti da presentare alla banca, fra visure, statuti, modello redditi ecc.. Meno male che no è prevista l’istruttoria!

Il commercialista Paolo Laurencet

Il commercialista Paolo Laurencet

Ma cos'è questo fondo e come funziona? Il Recovery Fund è un aiuto ai Paesi più colpiti dalla crisi innescata dall'emergenza Covid. Un fondo, emergenziale, che servirà, quando la pandemia sarà finita, per sostenere la loro ripartenza. Italia e Spagna soprattutto, appoggiate dalla Francia, vorrebbero un aiuto a fondo perduto.

Germania e Olanda, invece, mirano a un meccanismo in cui il denaro raccolto sui mercati con le euro obbligazioni venga immediatamente redistribuito agli Stati membri più colpiti attraverso prestiti di lungo termine a interessi bassissimi. Questa situazione non vi suona familiare?

Sono ormai due mesi che si parla di liquidità per le imprese, gli imprenditori invocano il fondo perduto e il governo risponde con prestiti garantiti dallo Stato.

Che significato ha fare la morale alla Germania, accusandola di voler svendere il nostro paese, se poi il governo ripaga il mondo produttivo italiano con la stessa moneta?

Quando si verificano eventi straordinari di grande portata, quali guerre, calamità naturali e simili, generano per lo più due diverse conseguenze .Quella umanitaria e quella economica. A quest’ultima si cerca di dare soluzione e supporto con contribuzioni a fondo perduto. Invece, ai tempi del coronavirus, il fondo perduto sembra quasi un tabù, un’espressione ingiuriosa, di cui ci si debba vergognare al solo pensiero. Qualcuno la confonde con la beneficenza o la solidarietà, in pochi riflettono sul fatto che si tratti di investimenti nel tessuto produttivo nazionale.

Anche nei talk show che monopolizzano il panorama televisivo italiano si ha il timore di utilizzare l’espressione “fondo perduto”. Quando l’imprenditore di turno si dimostra così arrogante dal farlo i governanti, quasi come se fosse un rosario, iniziano a sciorinare tutti i perché non si può invocare il risarcimento per i danni subiti dalla chiusura imposta per decreto. In primis ci ricordano i vari provvedimenti approvati in serie negli ultimi due mesi e poi spesso concludono che il nostro paese non può permetterselo per via dell’elevato debito pubblico.

Una riflessione, ma il debito pubblico chi l’ha alimentato?

Le imprese, gli autonomi, gli artigiani e commercianti o i 18 governi che si sono succeduti negli ultimi anni?

Ancora mi chiedo si può accettare una risposta simile da chi ha il compito di governare e dirigere l’Italia? Se è vero che il nostro paese è fortemente indebitato e quindi non abbiamo la possibilità di altri stati europei di ricorrere a nuovo deficit, non ci si può arrendere all’evidenza ma si ha il dovere di cercare le soluzioni e le risorse finanziarie. Provo a suggerire, a costo di sembrare un disco rotto: la spending review di emergenza con l’obiettivo di finanziare un fondo a sostegno delle attività produttive. La tanto vituperata Germania, in tempi non sospetti, a fronte di una spesa pubblica pari al 50% del proprio PIL ha saputo ridurla al 43%.

Non chiediamo tanto ma se hanno saputo farlo loro perché noi non ci proviamo nemmeno. La mia non vuole essere una ricetta però agiamo per la ricerca e il taglio, anche solo per 6 mesi, di quelle spese che in questo periodo non sono essenziali se non superflue; conteniamo gli sprechi; so di toccare un nervo scoperto però troviamo il coraggio di rimodulare i compensi della pubblica amministrazione con un sistema a scaglioni e con percentuali progressive (solo per 6 mesi).

Queste sono solo alcune indicazioni per trovare risorse senza ricorrere all’indebitamento. Leggo di fondi pubblici che sono bloccati che non possono essere spesi per via dell’attuale normativa sugli appalti o di altri cavilli burocratici. Abbiamo dimostrato, in deroga, di essere in grado di costruire ponti e ospedali. In deroga possiamo dare impulso al settore dell’edilizia e al suo indotto con l’accortezza di coinvolgere più operatori possibili e non sempre i soliti noti.

Anziché occuparsi di questi temi, le Istituzioni hanno pensato bene di creare ben 15 task force. Interessante notare come in nessuna di queste vi sia un imprenditore, un artigiano, un commerciate e via discorrendo. Spesso si utilizzata la metafora della guerra. Si legge “siamo in battaglia” oppure “la guerra contro il virus non è stata ancora vinta”. Credo che in guerra si vada con i soldati e i generali non con i filosofi, i sociologi con tutto il rispetto del modo per queste categorie.

Noi abbiamo i generali che si nascondono dietro i consiglieri (le task force) e i soldati chiusi in casa e lontani dalle loro aziende. Non si capisce neanche perché tutti questi gruppi di lavoro devono essere così numerosi e articolati. Il gruppo che lavora  all’ innovazione tecnologica pare sia costituito da circa 74 membri. Giustamente l’imprenditore Matteo Marzotto ha fatto notare che un semplice giro di opinioni richieda oltre quattro ore di lavoro. Come si fanno a prendere decisioni in un contesto del genere.

Devo, ahimè prendere atto che anche la nostra Regione alla fine ha ceduto al fascino del gruppo di lavoro composto essenzialmente da burocrati. Non sto esprimendo un giudizio sulle persone chiamate a farne parte, non mi permetterei mai, però in un momento così delicato c’è bisogno del supporto degli addetti ai lavori, di chi vive l’economia del territorio in prima persona ogni giorno. Rivolgo nuovamente l’appello alla politica di cercare il dialogo con gli operatori, le partite IVA locali, i consulenti ecc. Siamo in piena emergenza, regna la confusione, la Valle d’Aosta potrebbe costituire un modello di collaborazione tra pubblico e privato che manca nel paese.

Mentre i gruppi di lavoro crescono attorno al governo, siamo sempre in attesa degli effetti sia del decreto Cura Italia che del decreto Liquidità. C’è chi deve ancora ricevere i 600,00 euro; i famosi prestiti sino a 25.000 euro sono in ostaggio dell’ABI.

Mi permetto la solita digressione professionale: ci hanno raccontato che era sufficiente un’autocertificazione, vedasi l’allegato 4-Bis; che non era prevista istruttoria; che prima si dovevano erogare i prestiti e poi successivamente si procedeva al controllo.

In questi giorni mi sono occupato di più di una pratica e ho contato in media dai cinque ai dodici documenti da presentare alla banca, fra visure, statuti, modello redditi ecc.. Meno male che no è prevista l’istruttoria! Al momento non mi risultano finanziamenti erogati.

Anche sul lato delle scadenze fiscali tutto tace. Lo avevo già scritto così com’è ora il calendario fiscale è insostenibile. Una proposta: non solo rinviare i versamenti delle imposte da auto liquidazione, ossia Irpef, Ires e Irap al 30 settembre come ha richiesto di recente l’ordine nazionale, al quale appartengo ma rivedere anche le modalità di versamento delle medesime e consentire di rateizzare fino al 28 febbraio 2021.

Scusate il tecnicismo: nel nostro ordinamento oltre a versare il saldo delle imposte si pagano anche gli acconti per l’anno successivo; partendo dal presupposto che la quasi totalità delle imprese nel 2020 avrà un reddito fiscale inferiore al 2019 si potrebbe prevedere che gli acconti vengano versati su base volontaria e senza vincoli di percentuale. Perché aspettare che a fine 2021 si concretizzino i crediti di imposta legati al sistema degli acconti quando la liquidità è necessaria ora.

Concludo il mio contributo con un pensiero alla data del 4 maggio.

Avrebbe dovuto iniziare la fase 2, invece tutto come prima, ripartono solo i settori che gli altri paesi europei hanno mantenuto attivi nonostante la pandemia. Le Istituzioni dimostrano di non avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità che continuano a delegare ai vari gruppi di lavoro e al comitato scientifico.

Abbiamo bisogno di soluzioni rapide, chiare e soprattutto semplici da mettere in pratica. Nella migliore delle ipotesi il paese potrà ripartire il primo giugno, nel frattempo dovremmo districarci nei piani o progetti che lo stesso Premier ha definito sofisticati e articolati. Inizio a dubitare che la classe politica abbia cognizione della portata della crisi economica di cui abbiamo solo visto la punta dell’iceberg. Purtroppo i primi a pagarne le conseguenze saremo noi.

Paolo Laurencet

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