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CULTURA | 26 febbraio 2020, 10:30

IL GIARDINO DI LILITH: La Responsabilità del Rapporto Sessuale

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare

IL GIARDINO DI LILITH: La Responsabilità del Rapporto Sessuale

Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

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Argomento molto trattato nelle ultime settimane, tirato in ballo dagli esponenti politici, è stato l’aborto.

La Venere di Willendorf

Diritto tuttora messo in discussione dai vertici, ma anche dagli italiani in generale, ancora legati a retaggi culturali superati e a un sistema patriarcale radicato ormai nel tessuto sociale.
Non è tanto dell’eticità dell’aborto, però, di cui vorrei trattare in questo articolo; bensì del giudizio consequenziale che il discorso in questione trascina con sé: la presunta responsabilità totale della donna nella protezione durante i rapporti sessuali.

Infatti, ragionamento pressoché automatico – ed è questo a dover preoccupare – all’accusa politica dell’uso eccessivo della pratica abortiva da parte delle donne straniere, è stato quello di giudicare la controparte femminile in questione colpevole in toto di non aver provveduto “prima” ad evitare la gravidanza. Ritorniamo sempre al discorso dell’uomo socialmente ritenuto “animale”, incapace di raziocinio: spetta dunque alla donna assicurarsi di avere l’adeguata protezione.

Lei rimane incinta? È lei ad assumersi la responsabilità delle azioni di entrambi. Ironico come si pretendano, da parte paterna, i medesimi diritti in capo alla gestione dei figli nel caso di una separazione, ma quando si tratta di concepimento… Ecco che l’uomo alza le mani, rivendicando al massimo un diritto di scelta sulla gestione del corpo femminile.

Invece è proprio la fase, per così dire “intermedia”, l’unica potenzialmente non concernente l’uomo: la decisione non può che spettare alla parte che ne subisce e si prende carico dei pesi, nonché delle conseguenze maggiori.
Se mi trova concorde la necessità di una maggiore parità a livello di cura della prole, sia in un contesto di separazione coniugale, che in quello scontato di unione, mi trova ugualmente sostenitrice della divisione del carico di responsabilità se parliamo di gravidanza indesiderata.

Cerchiamo di essere più chiari. Non tutte le donne possono prendere la pillola anticoncezionale e/o quella del giorno dopo. La pillola ha un costo, fisico ed economico, completamente a carico della donna – e già, qui, a mio parere, la mentalità dovrebbe portare ad una suddivisione della spesa, sia riguardante il medicinale in sé, ma anche delle visite relative- e, ahimè, non vi è una garanzia totale di protezione.

Frasi come “deve ALMENO assicurarsi che il compagno indossi il preservativo” è una frase vergognosa, che testimonia l’arretratezza del pensiero dei più in questo paese. Eppure è una frase che si legge spesso sui social, in riferimento all’aborto e come accusa di aver scelto questo tipo di soluzione.
NO: entrambi devono curarsi della protezione della coppia. L’errore è stato di ENTRAMBI. La donna ne paga fisicamente ed emotivamente ed è giusto che l’uomo se ne assuma in pari misura almeno la responsabilità emotiva e, se possibile, la sua parte di spesa economica; nonché il supporto relativo, ove richiesto dalla partner.

Non si può gettare la colpa di un gesto, risultato di due parti, solo sull’esponente che ne patisce le conseguenze maggiori. Non possiamo continuare a definire negligente la donna e a considerare, implicitamente, l’uomo un bambino capriccioso incapace di pensare al controllo del suo corpo.
I motivi per i quali una donna ricorre all’aborto sono molteplici e affrontarli non è lo scopo di questo articolo. Spesso però, tra questi motivi, vi è proprio una forte componente di responsabilità maschile: vuoi per violenza, - dallo stupro allo stealthing -, o per retaggio culturale/religioso. Non possiamo esimerci dal prendere in considerazioni tali elementi, in una valutazione che vuole essere completa.

Incominciamo a responsabilizzare l’uomo nella logica della riproduzione: non è mera questione femminile. Pretendiamo maggiore coscienza dai nostri partner. Chiediamo aiuto se il caso lo richiede, senza preoccuparci di un eventuale giudizio: la forza di tante abbatterà piano a piano i pregiudizi sessisti che ci soffocano da secoli. Ricordiamoci -entrambi- di usare il preservativo in ogni rapporto, non solo per il rischio di una gravidanza, ma anche per evitare di contrarre malattie sessualmente trasmissibili. Non giudichiamo una donna che sceglie di abortire: è sempre una scelta sofferta.

L’aborto è un diritto: il corpo della donna è e dovrà rimanere sempre e solo di quest’ultima; nessun altro potrà e dovrà mai decidere per lei. L’aborto è la conseguenza di un errore di coppia o una scelta obbligata, ma certamente non è il risultato di una “vita incivile” della donna.

L’uomo deve smetterla di giudicare e credere di poter comandare la libertà delle donne, rifuggendo poi ogni qualsivoglia responsabilità.

Se vogliamo diminuire questa pratica, aumentare il benessere delle donne nell’ambito lavorativo e nel contesto della maternità, realizzare una concreta parità di genere e considerare gli uomini quali esseri capaci di raziocinio quanto la controparte femminile, è l’unica strada percorribile.

Il giudizio fine a sé stesso lasciamolo solo ai puri, senza peccato alcuno

Isabella Rosa Pivot

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