CULTURA - 20 novembre 2019, 10:30

IL GIARDINO DI LILITH: Mi sento in colpa

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare

IL GIARDINO DI LILITH: Mi sento in colpa

Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

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MI SENTO IN COLPA

- Ma a chi li hai lasciati i bambini?

- Al papà.

- Poveri cuccioli avranno nostalgia.

Qualche giorno fa ho moderato un incontro con una grande scrittrice femminista, nota per il suo blog "rosa" e controcorrente.

Abbiamo parlato di Donne, violenza e femminismo.

Un lungo momento di dialogo e confronto è stato dedicato al senso di colpa che attanaglia noi donne costantemente.

È una piccola tortura che ci hanno instillato da bambine e ci corrode con l'avanzare degli anni, come una goccia che scende a ritmo cadenzato, sullo stesso punto della nuca.

Proviamo senso di colpa quando siamo troppo stanche per giocare con i nostri bambini; quando li lasciamo con i nonni per andare in palestra; quando arrivano ospiti all'improvviso e la casa è in disordine, anche se siamo in due a viverci; ci sentiamo in colpa se lui ci tradisce o ci lascia, perché pensiamo di non aver fatto abbastanza; ci sentiamo in colpa se lo abbiamo lasciato noi, perché non ci rendeva felici; se mangiamo un dolce e non riusciamo a tornare in forma come gli avevamo promesso o se non abbiamo fatto in tempo a portare a termine tutte le faccende; se non desideriamo dei figli, perché tutte le donne normali lo vogliono.

"Se ci picchia perché la minestra era fredda, perché potevamo scaldarla meglio", citando una testimonianza riportata dalla scrittrice dell'incontro.

Ci sentiamo in colpa quando pensiamo a noi stesse, perché ci hanno insegnato che la donna esiste in funzione delle relazioni che crea attorno a se. Una donna non è mai completa: per esserlo deve essere madre, moglie, compagna. La donna è nata per "prendersi cura di" e, quando smette di farlo indipendentemente dal motivo, ecco che la critica ricade sulle mancanze.

Si pretende la perfezione dalla donna in ogni campo, dall'aspetto alle riserve energetiche. È come se ogni essere vivente sulla terra pretendesse il suo pezzetto di soddisfazione: devi essere in forma per il tuo uomo, figliare per la società, lavorare e fare carriera, essere una brava casalinga per la tua famiglia e essere impegnata socialmente che non guasta... ma non troppo o inizi a dar fastidio.

Non troppo, esattamente. Perché tutto, per essere perfetto, esige una giusta dose degli elementi ed è facile passare da "donna in forma" a "fissata", da "brava donna di casa" a "rompiscatole", da "donna indipendente" a "carrierista egoista".

In questo marasma di pretese costanti, ci destreggiamo tra un compito e l'altro con fatica e ansia da prestazione, cercando di colmare più lacune possibili.

In tutto ciò ci dimentichiamo di noi stesse e più gli anni passano e più il tempo per l'ozio, per noi e per i nostri piaceri ed hobby sparisce. Cominciamo con il rinunciare a un aperitivo tra amiche, per riuscire a fare le lavatrici e a finire il compito assegnato dal nostro capo. Passiamo al rasoio dalla ceretta perché finito il lavoro, chi li prende i bambini, che lui non ha il part-time. Non troviamo più un giorno per noi: la cucina, il lavoro o persino lo stirare diventano i "nostri momenti"; attimi che abbiamo trasformato saggiamente in cuscinetti per salvaguardarci dai mali per i quali dovremmo esser noi la cura.

Tutto questo perché ci sentiamo in colpa. Una volta instillata la perfezione, ecco che ogni mancanza diviene colpa. E, quindi, cerchiamo di non mancare mai in nulla.

Dobbiamo rivendicare il nostro tempo, i nostri sogni e i nostri bisogni, perché nessuno ce li concederà.

Dobbiamo dimenticare i modelli insulsi che cercano di propinarci e convincerci che è la nostra realtà che deve essere modellata secondo il nostro benessere.

Dobbiamo smettere di sentirci in colpa, perché è di quello che si nutre la paura e la violenza.

Isabella Rosa Pivot

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