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In Breve

| 21 marzo 2017, 09:30

Democrazia mutilata

Democrazia mutilata

Quante volte parliamo di democrazia nel nostro quotidiano, quante volte ci riempiamo la bocca con questa parola dal sentore nobile e dignitoso? Ma quanto riusciamo a percepirne il profondo contenuto?

Certo, tutti sappiamo dove e quando è nato questo concetto così strordinario che ha stravolto il modo di rapportarsi delle civiltà antiche fino ai nostri giorni. Circa 2500 anni fa, neppure riusciamo a risalire con l’immaginazione tanto indietro nel tempo, in quell’Atene che era una delle polis più piccole della Grecia, litigiose e in perenne lotta per la supremazia, che sarebbe diventata il faro della cultura occidentale. Già allora qualcuno si rese conto che se la civiltà voleva progredire, non solo politicamente ma anche e soprattutto economicamente, le decisioni importanti per la comunità dovevano essere prese da tutta la popolazione. Nacquero le assemblee pubbliche, l’oratoria, i giudizi sull’operato dei rappresentanti del popolo e l’ostracismo, la possibilità di esiliare chi aveva tradito la volontà dei cittadini.

La vita democratica non era certo semplice: più voci parlano più le opinioni sono disparate e contraddittorie, ma una volta espressa con il voto, la volontà della maggioranza diventava legge inviolabile. Per questo la democrazia non è sinonimo di libertà: la democrazia è un dovere, non un diritto, la partecipazione alla cosa pubblica era un obbligo e chi non si interessava alla politica cittadina era bollato come “idiota”, termine ancora in uso con connotazione dispregiativa.

E quando la minaccia persiana si presentò all’orizzonte, l’impellenza di salvaguardare la propria autonomia, di non sottomettersi a un potere tiranno, mise d’accordo le polis rissose, che si unirono per combattere il nemico comune, vincendolo.

Mi scuso per l’involontaria lezione di storia e scendo dalla cattedra, amen. Il fatto è che questa intrusione in un passato che ci riguarda tutti, mi ha fatto vedere la nostra piccola Polis valdostana indietreggiare nel tempo, retrocedere a quei livelli di inciviltà precedenti alla nascita della democrazia, che oggi sentiamo incrinata, quasi oltraggiata. Parliamo addirittura di golpe e ci sentiamo insicuri e inascoltati.

Forse non c’è niente di formalmente illegale nel ribaltone regionale. Ma è indubbio che noi cittadini, che abbiamo espresso la nostra volontà di governo, non ci sentiamo rappresentati dai voltagabbana, dalle quaglie e dai franchi tiratori: non sono le persone che abbiamo scelto. Tutti hanno diritto a cambiare idea, sia chiaro, ma chi si sente stretto nella posizione con cui a suo tempo si è presentato ai cittadini, abbia la dignità di tirarsi indietro ed aspettare le prossime elezioni. La volontà della collettività è sovrana, il suo voto è inviolabile, com’è che improvvisamente c’è chi ha pensato di cambiare le carte in tavola, con una disinvoltura offensiva ammantata di etica e responsabilità?

Ridateci la democrazia, quella vera, che dà noi cittadini il diritto-dovere di scelta, e mettiamo fine a questo ingarbugliamento di posizioni indefinite e contraddittorie che non dà governabilità e sicurezza alla comunità. Non è una richiesta rivoluzionaria, è vecchia di 2500 anni, ha fatto la storia. Fateci votare, per favore.

panta rey

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